Diritto

Transazione, giudici divisi sul cram down al minimo

Orientamenti diversi sulle operazioni ove la quota per l’Erario è molto bassa

di Giulio Andreani

Sta generando un contrasto giurisprudenziale l’omologazione forzosa della transazione fiscale, quando il soddisfacimento dei crediti tributari, pur essendo nominalmente più conveniente per l’Erario della liquidazione giudiziale, è sostanzialmente irrisorio e l’accordo di ristrutturazione dei debiti ha a oggetto essenzialmente solo tali crediti.

Gli orientamenti difformi

Alcuni Tribunali (si vedano: Tribunale di Salerno, decreto 23 gennaio 2023, e Tribunale di Lecce, decreto del 17 ottobre 2022) hanno rigettato la richiesta di cram down fiscale formulata da imprese che, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, avevano presentato proposte di transazione fiscale, non approvate dal Fisco, che prevedevano il soddisfacimento nella misura, rispettivamente, del 3% e dell’1,79% dei crediti erariali, i quali rappresentavano, rispettivamente, il 97% e il 58% dell’intero debito dell’impresa.

Tali decreti sono fondati anche su altri motivi (l’inaffidabilità dell’impianto contabile e la mancanza di certezza della convenienza della transazione fiscale, in un caso, e la rilevazione di un errato confronto con l’alternativa liquidatoria, nell’altro) di per sé sufficienti a giustificare il diniego del cram down, salvo rilevare anche l’insussistenza di un accordo che preveda l’adesione di un solo creditore e un soddisfacimento irrisorio.

Altri tribunali (ad esempio, Tribunale di Milano, decreto 31 luglio 2021, Tribunale di Roma, decreto 27 luglio 2021, Tribunale di Trieste, decreto 15 luglio 2022) hanno invece omologato, anche mediante cram down, accordi di ristrutturazione dei debiti costituiti esclusivamente da transazioni fiscali e/o previdenziali, aventi a oggetto crediti corrispondenti a percentuali molto elevate dell’intera esposizione debitoria con anche, in alcuni casi, un soddisfacimento assai contenuto, ancorché conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

La norma

La lettera e la ratio delle norme che disciplinano la transazione fiscale sembrano rispettate più da questo secondo indirizzo che dal primo.

Quanto all’entità del soddisfacimento, infatti, l’articolo 63 del Codice della crisi stabilisce che la transazione può essere approvata dal tribunale quando è, per l’Erario, più conveniente della liquidazione giudiziale, ma non prevede un soddisfacimento minimo dei crediti tributari. Non vi è dubbio che un pagamento irrisorio di tali crediti può essere irrilevante per le casse dello Stato, ma – in assenza di una norma che stabilisca una misura minima – al momento pare difficile escludere la ricorrenza del presupposto del cram down se l’alternativa liquidatoria produce per il Fisco un risultato peggiore di quello propostogli. Inoltre, la stessa continuità aziendale, ove prevista, costituisce di per sé un fattore di convenienza per l’Erario, poiché può consentire la creazione di nuova ricchezza e l’insorgenza di future imposizioni, evitando il sostenimento di quegli oneri sociali che normalmente vengono generati dalla cessazione di un’attività produttiva.

Quanto all’ampiezza del perimetro delle adesioni all’accordo, occorre considerare che la transazione fiscale è stata introdotta allo scopo di consentire all’amministrazione finanziaria di realizzare il miglior soddisfacimento dei crediti tributari, nei confronti di imprese che versano in uno stato di crisi, anche attraverso la concessione di falcidie e dilazioni di pagamento, ove siano strumentali rispetto a tale risultato.

Pertanto, non vi è motivo di escluderne l’attuabilità ove i crediti erariali rappresentino una percentuale elevata dei debiti complessivi, perché significherebbe impedire il miglior soddisfacimento di tali crediti proprio nei casi in cui sono maggiori; inoltre, poiché scopo degli accordi di cui trattasi è anche quello di favorire la prosecuzione dell’attività grazie al risanamento dell’impresa debitrice, ha senso richiedere che l’adesione dei creditori riguardi crediti per un valore superiore a un certo ammontare, in quanto ciò è rilevante ai fini del risanamento, ma non ne ha imporre un numero minimo di aderenti. Del resto, il legislatore, che pure ha previsto, ai fini dell’efficacia degli accordi, una soglia minima circa l’importo delle adesioni, nulla di simile ha stabilito con riguardo al numero dei creditori.

La giurisprudenza
Non basta lo statuto
Per beneficiare della disciplina tributaria di favore (articolo 143 Tuir) l'attività deve essere svolta da un ente non commerciale, la cui natura va verificata in concreto: non è sufficiente l'allegazione dello statuto. Spetta all'associazione provare il possesso dei requisiti necessari Cassazione 16081/2022

Distribuzione degli utili
Va disconosciuto il regime di favore previsto dall'articolo 143 del Tuir, per carenza dei requisiti di “decommercializzazione”, richiesti alle associazioni senza scopo di lucro, in caso di distribuzione degli utili, omessa compilazione del libro dei soci e mancata partecipazione degli associati alla vita dell’ente Cassazione 34189/2021

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