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Importazioni, per la Corte Ue l’Iva è dovuta nel luogo di destinazione finale (e durevole) dei beni

I giudici del Lussemburgo chiariscono che il luogo di importazione dei beni di provenienza extra-Ue si identifica nello Stato membro in cui sono destinati al consumo

di Giorgio Emanuele Degani

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza resa nella causa C-368/21 dell’8 settembre 2022, ha chiarito che ai fini dell’Iva il luogo di importazione dei beni di provenienza extra unionale è da identificarsi con il territorio dello Stato membro in cui i beni sono destinati al consumo, ossia il luogo in cui gli stessi vengono utilizzati in modo effettivo e durevole nel tempo.

In particolare, laddove i beni importati siano stati sottratti al controllo doganale o non siano state espletate le formalità relative alla loro introduzione nel territorio unionale, l’Iva si applica nello Stato membro di destinazione finale, a nulla rilevando che i beni siano transitati o siano stati utilizzati a scopo transitivo nello Stato membro di primo ingresso.

Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia afferma, in sostanza, il principio per cui l’imposizione deve avvenire nel luogo di destinazione effettivo e finale del bene importanto, assicurando la tutela del potere impositivo dello Stato membro in cui il bene verrà utilizzato.

La vicenda sotto la lente

Un cittadino georgiano, residente in Germania, aveva acquistato in Georgia un veicolo e, partendo da lì, aveva attraversato Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria e Austria, fino ad arrivare nel Paese di residenza; il tutto senza dichiarare l’importazione del veicolo all’amministrazione doganale.

L’Autorità doganale tedesca aveva quindi contestato al contribuente la violazione dell’articolo 139 del Regolamento Ue 2013/952 (Codice doganale dell’Unione), secondo cui i beni importati e introdotti nel territorio comunitario devono essere immediatamente presentati in dogana: altrimenti, sono da considerarsi come beni illegalmente introdotti nel territorio dell’Unione, facendo così sorgere l’obbligazione doganale all’importazione e l’Iva all’importazione.

Ferma restando la competenza dell’autorità tedesca a riscuotere l’obbligazione doganale, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di Giustizia se tale amministrazione finanziaria fosse ugualmente competente ad accertare e a riscuotere l’Iva all’importazione.
Sul punto, l’articolo 60 della direttiva 2006/112/Ce dispone che, ai fini Iva, l’importazione si considera effettuata nello Stato membro in cui il bene si trova all’atto dell’ingresso nel territorio unionale. Applicando questa norma, dunque, sussisterebbe la competenza della Bulgaria – quale primo Stato membro in cui si è verificato l’ingresso del bene extra Ue – ad accertare e a riscuotere l’Iva all’importazione.

La Corte di Giustizia ha chiarito che, nel caso di specie, il veicolo è stato utilizzato come mezzo di trasporto e che quindi, nonostante l’ingresso nel territorio unionale sia avvenuto in uno Stato membro differente (Bulgaria), il bene è entrato nel circuito economico dell’Unione europea nel Paese di destinazione finale (Germania), ove lo stesso è effettivamente e durevolmente utilizzato. Da ciò consegue che solo tale ultimo Stato membro ha la competenza in materia doganale e di Iva all’importazione.

La Corte ha poi precisato che, ai fini dell’individuazione dello Stato di destinazione finale in cui il bene viene utilizzato, può essere utile verificare il luogo di residenza dell’utilizzatore. La pronuncia è condivisibile e in linea con il precedente del 3 marzo 2021, causa C-7/20: l’esigenza di garantire l’imposizione nel luogo di destinazione effettivo e finale del bene consente di superare, a certe condizioni, la supremazia delle norme doganali.