Diritto

Azione di responsabilità verso i manager, danno «presuntivo» per i vecchi illeciti

Il sistema di calcolo dettato dal Codice della crisi ha valore retroattivo

di Giovanbattista Tona

Chi esercita l’azione di responsabilità contro gli amministratori per gli atti di gestione da essi compiuti in presenza di cause di scioglimento della società dovrà provare la violazione da parte di costoro dei loro obblighi con comportamenti astrattamente idonei a produrre il danno. Ma non dovrà provare l’ammontare del danno poiché il criterio presuntivo introdotto dall’articolo 378 del Codice della crisi e dell’insolvenza (Dlgs 1472019) in vigore dal 16 marzo 2019 ha portata retroattiva.

L’onere di dimostrare la misura del pregiudizio per ottenere la limitazione del risarcimento grava esclusivamente in capo all’amministratore.

In mancanza di idonee allegazioni che possano far escludere il verificarsi di conseguenze di pregiudizio patrimoniale per la società o che consentano di quantificarle in misura inferiore, esso sarà commisurato nel «differenziale dei patrimoni netti», cioè nella differenza emergente tra il patrimonio netto dalla data di cessazione dell’amministratore dalla carica e il patrimonio netto alla data di verificazione di una causa di scioglimento.

Lo ha stabilito la Corte di appello di Roma con la sentenza 2649 del 13 aprile 2021, prendendo una posizione netta su una controversa questione riguardo l’applicabilità ai giudizi in corso dell’articolo 2486 del Codice civile, come modificato dall’articolo 378 del Dlgs 14/2019.

Tale disposizione ha introdotto, infatti, un criterio presuntivo di determinazione del danno e ha stabilito che, quando è accertata la responsabilità degli amministratori, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica (o in caso di apertura di una procedura concorsuale alla data di apertura di tale procedura) e il patrimonio netto alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento della società, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un parametro di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.

Accanto a questo criterio principale, ne è stato introdotto uno sussidiario per le situazioni in cui sia stata aperta una procedura concorsuale e, per la mancanza delle scritture contabili o per la loro irregolarità o per altre ragioni, i netti patrimoniali non possano essere determinati; in tal caso il danno va liquidato in misura pari alla differenza tra l’attivo e il passivo accertati nella procedura.

Il legislatore ha recepito principi e criteri elaborati dalla giurisprudenza, da ultimo con la sentenza delle sezioni unite n. 9100 del 2015.

È per questo che alcuni giudici ritengono la norma non innovativa e quindi applicabile anche alle controversie insorte prima del 16 marzo 2019; così si è pronunciato il Tribunale di Bologna con la sentenza del 2 dicembre 2019 (si veda il Sole 24 Ore del 20 gennaio 2020).

In senso contrario altre autorità, come la Corte di appello di Catania con la sentenza del 16 gennaio 2020 (si veda il Sole 24 Ore del 25 maggio 2020), hanno rilevato che la norma non potrebbe avere applicazione retroattiva perché comunque prevede una presunzione assoluta in danno dell’amministratore, quando stabilisce un gravoso criterio sussidiario in caso di inidoneità delle scritture a seguito di fallimento.

La Corte di appello romana, invece, risolve la questione, evidenziando che la norma è processuale e il criterio deve applicarsi «quando è accertata la responsabilità degli amministratori». Opera il principio tempus regit actum e quindi la disposizione trova applicazione al momento in cui giudizialmente si accerta la responsabilità.

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