Diritto

Decreto 231 al rallentatore, in 4 anni iscritti solo 2.500 procedimenti

Bilancio con diverse ombre per l’utilizzo del decreto 231: pochi i procedimenti

di Giovanni Negri

Mutuando da Vittorio Gassman, forse il decreto 231 ha un grande avvenire dietro le spalle. Così, tra il serio e il faceto, Gabrio Forti, docente di Diritto penale alla Cattolica di Milano, ieri pomeriggio moderando il convegno organizzato dalla fondazione Centro nazionale di difesa e prevenzione sociale, dedicato a un bilancio e alle prospettive della responsabilità amministrativa degli enti a 20 anni dal suo esordio. Dove l’accento forse deve cadere in questa fase almeno più sul bilancio che sulle prospettive, peraltro più volte indagate e oggetto di plurimi progetti di riforma.

In questo senso è allora già un punto di riferimento la ricerca promossa dalla Fondazione Cnpds e coordinata dai professori Francesco Centonze e Stefano Manacorda (penalisti della Cattolica e della Campania) su dati raccolti dalla Procura generale della Cassazione e dal ministero della Giustizia. A emergere è una fotografia non certo scintillante. Così, con riferimento a un quadriennio, il periodo 2016-2019, risalta innanzitutto il dato di una almeno relativa esiguità dei procedimenti iscritti, circa 2.500 complessivi, con una costanza di circa 600 iscrizioni all’anno. Bologna, Roma e Milano, nell’ordine, gli uffici giudiziari con più iscrizioni, mentre al Sud, Napoli e Palermo hanno circa il 3% a testa dei procedimenti.

Con riferimento ai singoli reati presupposto, circa il 25%, delle iscrizioni riguarda i reati ambientali, a ruota i delitti in violazione delle misure a garanzia della sicurezza del lavoro; subito dopo la truffa ai danni dello Stato e dell'Unione europea. I reati societari e finanziari si collocano intorno al 5%, mentre i delitti contro la pubblica amministrazione, come la corruzione, sono circa l’8% del totale.

Per quanto riguarda le diverse forme di conclusione del procedimento va sottolineato che le condanne, alla fine riguardano solo una quota assai esigua delle iscrizioni, in un ordine compreso tra il 10 e il 15 per cento. Il resto è costituito da archiviazioni, in larga parte, da assoluzioni e da patteggiamenti. Il dato delle archiviazioni tuttavia non permette di valutare quanto di queste sono da ascrivere all’applicazione dei modelli organizzativi, con un giudizio quindi di idoneità a scongiurare la colpa organizzativa.

I dati sulle condanne peraltro consentono invece di affermare che in genere esiste concordanza tra condanna alla persona fisica e sanzione alla persona giuridica, con l’eccezione però dei reati ambientali e su sicurezza lavoro, dove a essere più condannate sono le persone fisiche rispetto alle imprese.

Le sanzioni interdittive risultano applicate solo in via cautelare e mai dopo condanna, mentre l’ammontare delle misure pecuniarie sfonda la soglia media di 100.000 euro solo per i delitti di criminalità organizzata e gli abusi di mercato. La maggior parte dei procedimenti riguardano società a responsabilità limitata e società di persone, continuano tuttavia a essere iscritte anche ditte individuali, malgrado l’orientamento contrario della Cassazione.

Nel convegno sono stati presentati anche i risultati di una survey Confindustria-Università della Tuscia e Tim che ha coinvolto 211 società, il 42% delle quali quotate, il 29% con fatturato uguale o inferiore a 50 milioni e il 23% tra 1 e 10 miliardi. A emergere questa volta in una prospettiva di riforma è una diversa connotazione del sistema sanzionatorio che tenga maggiormente conto della collaborazione dell’ente durante le indagini e degli strumenti di prevenzione adottati dalle imprese.

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