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Accisa sull’energia elettrica, parola alla Corte di giustizia Ue sulle addizionali provinciali

Il Tribunale di Como, con ordinanza del 28 aprile 2022, ha rimesso la questione relativa all’incompatibilità

di Giorgio Emanuele Degani

Il Tribunale di Como, con ordinanza del 28 aprile 2022, ha rimesso la questione relativa all’incompatibilità delle addizionali provinciali all’accisa sull’energia elettrica alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

In particolare, il giudice nazionale ha chiesto alla Corte di giustizia se una normativa interna in contrasto con il diritto unionale possa essere disapplicata dal giudice nazionale in una controversia tra privati. Inoltre viene chiesto se il principio generale di effettività dei rimborsi osti a una normativa nazionale, come quella dell’articolo 14 del Dlgs 504/1995 (Testo Unico Accise), che non consenta al consumatore finale di chiedere il rimborso dell’imposta indebita direttamente allo Stato, ma imponga di esperire un’azione civilistica di rimborso nei confronti del fornitore soggetto passivo, unico legittimato ad ottenere il rimborso dall’amministrazione finanziaria all'esito di un provvedimento giurisdizionale di condanna.

La questione

L’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica è stata istituita con l’articolo 6 del Dl 511/1988. Tale imposta, ai sensi della direttiva 2008/118/CE e direttiva 92/12/CEE, doveva avere una finalità specifica.

Ed infatti, le norme unionali hanno escluso in generale la possibilità di applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altri tributi indiretti ulteriori rispetto all’accisa medesima. Tuttavia, in deroga a tale regola di carattere generale, è stata consentita la possibilità per gli Stati membri di applicare ai prodotti sottoposti ad accisa anche altre imposte indirette, in via del tutto eccezionale, ma solo al ricorrere di due specifiche condizioni, applicabili in modo “cumulativo”:

- la prima, che tali imposte “aggiuntive” fossero conformi alle norme fiscali eurounitarie applicabili per le accise o per l’Iva in materia di determinazione della base imponibile, del calcolo, dell'esigibilità e del controllo dell’imposta stessa;

- la seconda, che tali imposte “aggiuntive” all'accisa presentassero una “finalità specifica”, ovvero uno scopo concreto, rimesso alla discrezione degli Stati membri.

Pertanto, in assenza di uno scopo dettagliato attribuito all’addizionale, la stessa è da ritenersi incompatibile.

Da tale incompatibilità, il giudice del rinvio, con la prima questione, chiede alla Corte di giustizia dell’Unione europea se sia possibile, in una controversia tra privati quale quella tra il consumatore finale e il fornitore, disapplicare la norma interna alla luce di quella unionale; ciò in quanto il diritto unionale troverebbe applicazione solo nei “rapporti verticali”, ossia in quelli con parte lo Stato, e non in quelli “orizzontali”, ossia tra privati.

L’argomentazione

A ben vedere, però, nel caso di specie la giurisprudenza unionale ha riconosciuto il cosiddetto “effetto di opposizione”, ossia la possibilità di ostacolare l’applicazione del diritto interno non conforme in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti d’attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva (Cgce, causa C-8/81).

Pertanto, il giudice nazionale ha il potere di rilevare d’ufficio, l’incompatibilità della normativa nazionale con il diritto unionale.

E, ancora, si è in presenza di una “efficacia verticale con riflessi orizzontali” della Direttiva, per la quale quest’ultima opera a tutti i livelli dell’ordinamento degli Stati membri; diversamente operando si giungerebbe a un paradosso: nel rapporto tra Stato e fornitore di energia elettrica la normativa interna potrebbe essere disapplicata per il contrasto con il diritto unionale; nel rapporto tra fornitore e cliente finale, ossia tra soggetti privati, no. Ciò determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, trattandosi di un rapporto verticale con riflessi negativi orizzontali per soggetti terzi.

Se così non fosse, si violerebbe il principio unionale di effettività del diritto al rimborso.

La parola non resta che ai giudici della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che saranno tenuti a pronunciarsi sulle questioni sollevate.