Diritto

Ineleggibile il sindaco socio di studio di consulenza

Lo ritiene la Cassazione, nella sentenza n. 29406/2022 del 10 ottobre, affermando così l'assoluto carattere di terzietà e quindi di indipendenza che il sindaco deve sempre avere verso la società da vigilare

di Nicola Cavalluzzo

È ineleggibile il sindaco di una società, che fa parte (con una quota di partecipazione rilevante: il 70%) dello studio associato che effettua prestazioni di consulenza alla stessa società. Anche nel caso in cui la consulenza sia prestata da altro socio o collaboratore dello studio. Lo ritiene la Cassazione, nella sentenza n. 29406/2022 del 10 ottobre, affermando così l'assoluto carattere di terzietà e quindi di indipendenza che il sindaco deve sempre avere verso la società da vigilare.

Non a caso, prima di accettare l'incarico, il sindaco è tenuto ad effettuare adeguate verifiche per constatare la conformità alle norme e ai princìpi in materia di indipendenza previsti nell’ordinamento per garantire controlli appropriati e conclusioni ragionevolmente oggettive e prive di condizionamenti. Requisito che deve permanere per tutta la durata della carica, a pena di decadenza.

La controversia approdata in Cassazione origina dall'ottenimento di un decreto ingiuntivo da parte dello studio associato per l'attività di consulenza fiscale nei confronti di una società. In sede di opposizione, quest'ultima, in via riconvenzionale, ha chiesto al giudice di riconoscere una non meglio definita responsabilità del professionista con conseguente condanna ai danni, ma soprattutto di accertare la sua incompatibilità con la carica di sindaco, con conseguente condanna a restituire tutti i compensi percepiti per la carica.

Su quest'ultima richiesta, la sentenza di primo grado aveva ritenuto non provata la ineleggibilità del professionista e quindi ha respinto la richiesta. La Corte d'appello ha riformato la sentenza, sancendo la ineleggibilità del sindaco poiché ricorreva l'ipotesi di cui all'articolo 2399, comma 1, lettera c) del Codice civile: il credito era maturato da una società (rectius: associazione) di cui il medesimo deteneva il 70%.

Questa decisione è stata ora confermata dalla Cassazione con la pronuncia del 10 ottobre. La sentenza contiene una serie di “affermazioni” che dovranno essere tenute in grande considerazione.

La Corte, infatti, ha statuito che le situazioni che possono compromettere in radice l’imparzialità e l’indipendenza del sindaco sono sia le prestazioni continuative di consulenza verso la società vigilata, ancorché siano prestate da un socio o da un collaboratore dello studio associato, sia i rapporti di natura patrimoniale di cui il sindaco sia titolare. Soprattutto, come nel caso in esame, se c’è un’elevata quota di partecipazione (il 70%) nell’associazione professionale.

La Cassazione sottolinea che l’espressione contenuta nella citata norma, nella sua indeterminatezza, affida al prudente apprezzamento del giudice di merito l'individuazione del criterio da seguire per valutare la fattispecie sottoposta al suo esame, criterio che i giudici dell'appello hanno appunto individuato nella elevata percentuale di partecipazione nell’associazione professionale.

Una ultima notazione. Da un'attenta lettura della sentenza, sembra che la Cassazione abbia anche preso le distanze dalla necessita di verificare l’incidenza dei compensi per l'attività di consulenza rispetto ai ricavi per la complessiva attività del sindaco.

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