Controlli e liti

No alla cartella per recuperare il credito non utilizzato

In caso di errata indicazione del credito non compensato, il Fisco potrà senz’altro rettificarne l’importo, riportandolo all’ammontare corretto, ma non potrà richiederlo in pagamento

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

L’Amministrazione finanziaria non può emettere una cartella di pagamento, derivante dalla liquidazione della dichiarazione, recante il recupero di un credito d’imposta non utilizzato. In caso di errata indicazione del credito non compensato, il Fisco potrà senz’altro rettificarne l’importo, riportandolo all’ammontare corretto, ma non potrà richiederlo in pagamento.

La precisazione giunge dall’ordinanza 20626/2022 della Corte di Cassazione.

La vicenda processuale prendeva le mosse da una cartella emessa in base all’articolo 36-bis del Dpr 600/1973, con cui l’Ufficio aveva proceduto a recuperare un credito d’imposta (credito per investimenti in aree svantaggiate) riveniente dalla dichiarazione precedente ma in questa non evidenziato.

Secondo il contribuente, la violazione in esame avrebbe dovuto essere contestata in un apposito avviso di accertamento ma non avrebbe potuto essere rilevata in sede di liquidazione della dichiarazione.

La Corte ha respinto tale argomentazione, sulla scorta di un consolidato orientamento in base al quale quando l’Amministrazione si limita a riscontrare errori di carattere formale non occorre ricorrere ad un atto di accertamento ma è sufficiente l’iscrizione a ruolo, effettuata in base all’articolo 36-bis del Dpr 600/1973. In questa tipologia di errori ricade anche il riporto di un credito dall’anno precedente, laddove nella denuncia tributaria di tale annualità il credito non sia stato in realtà indicato.

Con l’occasione, la Corte ha precisato e ribadito i confini dell’attività di liquidazione della dichiarazione, che deve tradursi in un controllo meramente cartolare che non implichi, in alcun modo, una valutazione dei dati in possesso dell’Ufficio.

Le operazioni aventi natura valutativa devono infatti essere recepite negli atti aventi contenuto accertativo.

Il collegio di legittimità ha inoltre osservato – ed è la parte più interessante della pronuncia – che laddove il contribuente indichi in dichiarazione un credito di importo errato ma non l’abbia utilizzato in compensazione, il Fisco ha certamente il potere di rettificare l’ammontare del bonus ma non può richiedere in pagamento una somma che è rimasta nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria. Il recupero del credito presuppone infatti che si sia generato un debito verso l’Erario.

Si tratta di un’affermazione, peraltro, pienamente coerente con la previsione all’articolo 1, comma 2, del Dlgs 471/1997, in forza della quale, in ipotesi di infedeltà della dichiarazione, la sanzione è commisurata alla differenza del credito utilizzato. La controversia risolta dalla Corte, peraltro, riguardava una annualità (il 2002) antecedente la riforma del regime sanzionatorio che ha condotto all’introduzione della suddetta previsione, così dimostrandosi che il criterio di diritto ivi enunciato ha portata generale.

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