Diritto

Si diffonde il modello dell’impresa sociale: privato e pubblico lavorano sulla coesione

Presentati a Roma i dati sulle nuove realtà curati da Unioncamere e Terzjus. Rispetto alle coop società, fondazioni e associazioni sono favorite nel l’equity

di Maria Carla De Cesari

Un terreno normativo favorevole allo sviluppo dell’impresa sociale: il decreto legislativo 112/2017 si colloca nel quadro più generale del Terzo settore e del Codice, definito dal decreto legislativo 117/2017. D’altra parte la legge delega, per entrambe le discipline, è la 106/2016. Si è trattato di superare un paradigma del non profit incentrato sull’assistenzialismo e di stabilire invece un modello in cui questo mondo sia protagonista della coesione e dello sviluppo sociale. Il filo d’Arianna di questo corpus giuridico è stato spiegato durante il seminario promosso da Unioncamere e da Terzjus (il centro studi sul Terzo settore), che si è svolto mercoledì 14 dicembre a Roma. Su questi aspetti hanno insistito Giuseppe Tripoli (segretario generale di Unioncamere), Claudio Gagliardi (vice segretario generale di Unioncamere) e Luigi Bobba (presidente di Terzjus, già sottosegretario al ministero del Lavoro, che ha promosso la riforma).

Durante l’incontro sono stati presentati i dati di due ricerche sulle caratteristiche e le aspettative delle nuove imprese sociali, nate dal 2017, e sulle loro dinamiche occupazionali. Da sottolineare la vivacità del mondo delle imprese sociali, pur in presenza di una nuova legislazione che ancora attende l’operatività del regime fiscale di favore, vincolato al’autorizzazione di Bruxelles (si veda l’altro articolo). Il 20 luglio 2017, quando è entrato in vigore il decreto legislativo 112, vi erano in Italia 16.249 imprese sociali attive. Il 97% circa era costituito da cooperative sociali e loro consorzi. Nell’aprile scorso, nella sezione ad hoc del Registro imprese, si contavano 3.438 nuove realtà, per quasi il 25% non più costituito in base ai tipi della cooperativa sociale, ma come impresa, fondazione, associazione. Le realtà spaziano dai servizi socio-assistenziali - che continuano a essere preponderanti - alle attività educative, fino alla cultura e al turismo e alla valorizzazione dei territori. La ricchezza dell’oggetto sociale è merito dell’ampiezza delle attività di interesse generale, previste dall’articolo 2 del decreto 112, esercitabili dalle imprese sociali «senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti» nei confronti dei lavoratori e della collettività degli utenti.

Le imprese sociali - come ha sottolineato Antonio Fici (segretario generale di Terzjus) - non sono particolari tipi societari, ma sono realtà che fanno appello alle formazioni disciplinate dal Codice civile e che si caratterizzano per l’attività esercitata e le modalità di svolgimento. Le nuove imprese sociali - che con l’iscrizione al Registro imprese perfezionano anche i requisiti per il Registro unico del Terzo settore, insieme con le coop sociali, come ha rilevato Pierluigi Sodini di Unioncamere - sono particolarmente attive nell’innovazione. Per questo una fetta rilevante del personale è costituito da professionalità di formazione elevata. Nate dell’esperienza delle coop sociali, le imprese sociali - anche per la possibilità di attingere al mercato dei capitali e senza più il divieto assoluto alla distribuzione degli utili - rappresentano una possibilità per affrontare i difficili processi di transizione, da quella digitale a quella ambientale, per esempio. Una delle architravi dell’impresa sociale è la vocazione a fare rete, a creare contaminazioni e a lavorare in regime di coprogrammazione e coprogettazione con le pubbliche amministrazioni, a svolgere insomma le attività non in forma di supplenza o di subordinazione con il pubblico ma cercando di gestire e dominare i cambiamenti. Questa possibilità è stata sottolineata da tutti i relatori, e in particolare nelle “testimonianze” di Paolo Venturi (direttore del centro studi Aiccon su non profit e cooperazione, promosso tra gli altri dall’università di Bologna) e di Stefano Granata (presidente di Federsolidarietà, la voce delle cooperative sociali). D’altra parte, sia l’Unione europea, sia le istituzioni internazionali, come l’Ocse e le Nazioni Unite, guardano all’economia sociale e ai suoi attori come leva per lo sviluppo, visto che il mero mercato ha mostrato i suoi limiti in temini di crescita e di coesione. Il problema per l’Europa, secondo Gianluca Salvatori (segretario generale di Euricse, centro studi promosso dall’università di Trento e dal mondo della cooperazione), potrebbe essere di procedere a una velocità troppo bassa rispetto al resto del mondo.

Il piano d’azione Ue lanciato a dicembre 2021 dal commissario al lavoro Nicolas Schmit punta a favorire la transizione verde e digitale, nel segno della sostenibilità e della solidarietà. Come ha ricostruito Alessia Di Gregorio (vicecapo unità Prossimità, economia sociale & industrie creative della Dg Grow della Commissione), Bruxelles sta lavorando, tra l’altro, a un regolamento per favorire le attività dell’economia sociale transnazionali. Si punta poi a diffondere delle buone pratiche in tema di appalti pubblici, insieme con un monitoraggio continuo dei risultati del piano di azione. La promessa della Commissione è di alimentare il dialogo con gli attori dell’economia sociale.

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