Accertamento analitico-induttivo, ecco i limiti al criterio del «ricarico medio»
Nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo (articolo 39, comma 1, lettera d, del Dpr 600/1973) il Fisco può servirsi delle percentuali di ricarico mediamente riscontrate nel settore di appartenenza dell’impresa. Tali percentuali, però, sono «inidonee, di per sé stesse, a integrare gli estremi di una prova per presunzioni», per fondare la quale serve, invece, «l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore, incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione». Anche nella recente ordinanza 13161/2019 (che riprende la precedente pronuncia 27488/2013) la Cassazione è tornata sul tema della legittimità degli accertamenti fondati sulle medie di settore.
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In presenza di scritture contabili formalmente corrette, per la Cassazione – ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa – non è sufficiente il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza. Le medie di settore, infatti, non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato – dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare – ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei. Ecco perché necessitano di altri elementi a supporto per costituire una motivazione in grado di legittimare un accertamento.
Tra i più recenti orientamenti giurisprudenziali (si vedano le schede qui sotto), ha grande rilievo la rappresentatività del campione utilizzato in sede di accertamento: una percentuale di ricarico arbitraria, ricavata solo su alcuni prodotti e, magari, neppure messa in correlazione con i diversi quantitativi acquistati, non può che rivelarsi inattendibile, viziando l’intera impalcatura del ragionamento dei verificatori (ex multis: ordinanza 7003/2018).
Altro tema è quello dell’utilizzo di una percentuale di ricarico, rilevata in un determinato periodo d’imposta, anche ai fini dell’accertamento di altri periodi, precedenti o successivi. In proposito, la Suprema corte afferma che tale variabile, in base all’esperienza, non costituisce un dato occasionale, per cui può divenire un elemento indiziario, con onere in capo al contribuente, il quale deve dimostrare «i mutamenti del mercato o della propria attività» tali da giustificare l’applicazione di percentuali diverse a periodi differenti (ordinanza 7108/2019 e, in passato, sentenza 27330/2016). L’onere motivazionale che, in questo caso, viene addossato al contribuente, è stato giustificato con il principio della «vicinanza della prova». È, infatti, l’imprenditore che può fondatamente argomentare circa le modifiche subite, nel tempo, dal panorama concorrenziale specifico (si pensi all’apertura, in zona, di centri commerciali o discount) o dalla politica commerciale adottata.
Molto delicata, infine, è la questione riguardante le dichiarazioni rilasciate dal contribuente in sede di contraddittorio. Per evitare lunghe ricostruzioni, spesso i verificatori tentano di giungere alla ricercata percentuale di ricarico medio facendola dichiarare – in modo del tutto informale – all’imprenditore, che non si rende il più delle volte conto che (sempre secondo la Cassazione) sta rilasciando in quel momento una vera e propria «confessione stragiudiziale» (sentenza 20980/2015).
È, quindi, fondamentale che il contribuente eviti di fare affermazioni non meditate e dimostrabili e che si prenda tutto il tempo necessario per rispondere, con l’ausilio del proprio consulente, in maniera puntuale ai quesiti posti, anche solo verbalmente ed in modo apparentemente “innocuo”, dagli organi verificatori.
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