Ammortamenti, sì alla deducibilità anche per il bene inutilizzato perché sotto sequestro
La quota di ammortamento di un bene strumentale è deducibile anche nelle annualità durante le quali, a causa di un fatto sopravvenuto e fortuito, quali ad esempio un sequestro, non sia stato possibile utilizzare concretamente il bene stesso.
La determinazione della base imponibile è ispirata al principio dell’inerenza e al criterio della derivazione dal risultato del conto economico redatto in conformità al Codice civile e ai principi contabili nazionali. Pertanto, non sono condivisibili quelle pronunce della giurisprudenza di merito (Ctr Puglia n.69/2012) che affermano l’esistenza di un nesso imprescindibile tra deducibilità dell’ammortamento ed effettivo utilizzo del bene. Sicché dal mancato utilizzo deriverebbe l’indeducibilità della quota di ammortamento di un impianto allorquando, per un fatto sopravvenuto quale ad esempio l’assoggettamento a sequestro, il bene non è concretamente utilizzato.
La funzionalità di un bene strumentale, nel suo primo anno di vita, ne comporta la sua definitiva acquisizione ai beni d’impresa, dando perciò un impulso irreversibile al processo di ammortamento. In base a questa logica, l’articolo 102, comma 1, Tuir va interpretato nel senso che la sopravvenienza di un fattore, imprevisto e indipendente dalla volontà del contribuente, come un sequestro penale, dal quale consegue il mancato utilizzo del bene, non far venir meno il diritto di dedurre le quote di ammortamento. Sulla base di tale principio la Corte di Cassazione, recentemente (ordinanza 9252/2019) ha censurato la posizione della giurisprudenza di merito che propendeva per l’indeducibilità dell’ammortamento.
Il paradigma seguito dalla giurisprudenza di merito soffre dell’errore, invero molto ricorrente nel recente passato, per cui l’articolo 109, comma 5, Tuir disegnerebbe il principio dell’inerenza. Secondo quest’indirizzo, la deducibilità dei costi in ragione della loro afferenza ad attività o beni produttivi di ricavi, sarebbe suscettibile di produrre, a contrario, l’indeducibilità dei costi non correlati con i proventi d’impresa. Il principio di inerenza non è il sottoprodotto di una previsione normativa, bensì è un principio di portata generale, immanente nello stesso concetto di reddito. Esso va riferito al tema della correlazione tra costo e attività di impresa, sicché è inerente il costo anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile. Va da sé, allora, che il costo del bene strumentale iscritto in bilancio è senz’altro inerente, per la sua intrinseca potenzialità produttiva, anche quando, per un elemento fortuito, ne sia temporaneamente impedito il concreto utilizzo. Il sindacato d’inerenza va riferito all’esistenza di una relazione biunivoca, non già tra costi e ricavi, quanto piuttosto tra i costi, da un lato, e l’impresa nella sua dimensione dinamica ed economica, dall’altro.
La citata ordinanza della Cassazione, inoltre, arricchisce la questione di un ulteriore spunto argomentativo rispetto al canonico riferimento all’inerenza. Si tratta del principio di derivazione del reddito fiscale dal risultato del conto economico. Nessuna correzione del risultato d’esercizio è prevista dalla vigente legislazione in ipotesi di sopravvenuta inattività di un bene durevole, ragion per cui, nessuna variazione in aumento dell’utile civilistico può avere luogo in presenza della medesima circostanza. In realtà la nuova argomentazione della Corte non appare pienamente appagante. Si è dell’avviso, infatti, che se nella legislazione tributaria manca un riferimento al principio dell’inerenza è perché il legislatore ha ritenuto di presupporre una visione economica della ricchezza, costruita secondo regole esterne e precedenti rispetto alla fiscalità.
Cassazione, ordinanza 9252/2019