Professione

Border tax per le multinazionali

di Marco Valsania

La riforma delle tasse presentata dai repubblicani rivendica una rivoluzione permanente nelle tasse aziendali. Ma la proposta contiene in realtà numerose incognite e il suo impatto su diversi settori e imprese, a cominciare dalle multinazionali, appare oggi incerto. Minaccia in particolare di reintrodurre, teme una parte del mondo imprenditoriale e degli esperti fiscali, varianti leggere della “border adjustment tax” che era stata tacciata di protezionismo e danni ad aziende globali.

Soddisfazione è stata espressa dalla Corporate America per il progetto di abbattere l’aliquota societaria al 20% dal 35% e per gli sconti una tantum che incoraggerebbero il rimpatrio dei profitti accumulati all’estero. In tutto, almeno mille miliardi di sgravi netti in dieci anni su 1.500 sono rivolti al business. Ma sul palcoscenico globale - se viene preparato un passaggio a un sistema “territoriale”, vale a dire imposte pagate dove i profitti sono generati - la transizione ha “correttivi” che preoccupano. Due nuove imposte nascono tra le righe: una del 10% sulle cosiddette controllate ad “alto profitto” di multinazionali statunitensi; l’altra una excise tax del 20% che può colpire gruppi globali tanto Usa che esteri.

La tassa sulle “high profit” è immaginata con una formula legata ai loro profitti globali superiori al rendimento normalmente atteso sul costo delle immobilizzazioni materiali. La excise tax riguarda invece trasferimenti e pagamenti effettuati oltre confine da attività americane. «È una versione ridotta della border tax, limitata a operazioni inter-company» avverte Stefano Schiavello, partner all’Italy Desk di Deloitte Tax a New York. Come tale potrebbe interessare anche aziende italiane con semplici controllate Usa di distribuzione dei loro prodotti. L’obiettivo formale delle nuove norme è combattere elusioni e “fughe” di utili verso paradisi fiscali, dall’hi-tech ai servizi e al manifatturiero ma, avverte Schiavello «l’impatto sul carico fiscale delle controllate americane di gruppi italiani va ancora verificato».

Nel progetto compaiono anche misure denunciate dai gruppi immobiliari Usa con limiti alle deduzioni che incentivano gli acquisti di case. E controversi tetti più restrittivi pari al 30% del cash flow nella deduzione di interessi passivi, a eccezione di real estate e piccole aziende.

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