Adempimenti

Otto anni per contestare il credito inesistente

Sanzioni dal 100 al 200% per l’utilizzo delle somme e niente definizione agevolata

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di Diego Avolio e Benedetto Santacroce

L’utilizzo dei crediti di imposta per ricerca e sviluppo continua ad essere al centro dei controlli dell’agenzia delle Entrate. La circolare 31/E di ieri si sofferma, in particolare, sulle modalità e i tempi per l’esercizio delle attività di accertamento finalizzate a verificare la sussistenza delle condizioni di spettanza, tra l’altro, del credito d’imposta dell’articolo 3 del Dl 145/2013 e la corretta applicazione della relativa disciplina. Al riguardo, l'Agenzia precisa che, qualora a seguito dei controlli sia accertato che le attività o spese sostenute non siano ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo, si configura un’ipotesi di utilizzo di un credito «inesistente», per carenza totale o parziale del «presupposto costitutivo», ed il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione sopra richiamata la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.

Va detto che, nella maggioranza dei casi, le contestazioni elevate dagli uffici riguardano la stessa «eleggibilità» dei costi sostenuti per carenza del carattere «innovativo» dell’attività di ricerca e sviluppo e degli altri requisiti previsti dal «Manuale di Frascati». È già stato messo in evidenza da Assonime (circolare numero 23 del 14 novembre 2019) come, quanto meno in un primo tempo, le indicazioni fornite dalle Entrate non avrebbero lasciato immaginare un’impostazione tanto rigida degli organi accertatori.

Le ricadute sanzionatorie per i contribuenti sono rilevanti, dal momento che l'agenzia delle Entrate ritiene di dovere elevare la sanzione per indebita compensazione di crediti d’imposta considerati inesistenti, piuttosto che «non spettanti». Si tratta di una scelta di non poco conto, visto che la sanzione per utilizzo del credito d’imposta «non spettante» è pari al 30% del credito stesso. Viceversa, per il credito «inesistente» si applica la sanzione dal 100% al 200%, non essendo peraltro consentita la cosiddetta «definizione agevolata». La circolare 31 precisa che il contribuente può beneficiare della riduzione delle sanzioni prevista per il ravvedimento operoso prima che sia stato notificato l’atto di recupero. Inoltre, i competenti uffici, in ragione delle «circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione», potranno applicare la predetta sanzione per credito inesistente riducendola sino alla metà del minimo edittale.

Si è già avuto modo di osservare (Il Sole 24 Ore del 26 marzo 2019) come tale modus operandi parrebbe, in verità, contrario alla stessa ratio dell’articolo 13, comma 5, del Dlgs 471/1997. La sanzione prevista per l’indebita compensazione di crediti inesistenti dovrebbe riguardare le sole ipotesi in cui ricorra un comportamento fraudolento del contribuente, come nel caso in cui venga “allestito” un apparato contabile ed extracontabile per documentare attività di ricerca e sviluppo che, in realtà, non sono mai state svolte; o, ancora, quando il credito d’imposta venga creato “artificiosamente” in sede di compilazione del Modello F24 (Risoluzione 8 maggio 2018, numero 36/E). Nel caso di questioni interpretative non potrebbe ricorrere l’ipotesi del credito “inesistente”, ma al più quella del credito “non spettante”.

In considerazione delle tante incertezze interpretative che hanno caratterizzato la disciplina fino al periodo d’imposta 2018, andrebbe per questo ipotizzata una sanatoria per i contribuenti.

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