Controlli e liti

Cessione d’azienda, niente decadenza

immagine non disponibile

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Nell’ambito di un trasferimento di ramo d’azienda secondo l’articolo 2112 del codice civile, non si applicano i termini di decadenza previsti dall’articolo 32, comma 4, della legge 183/2010 se il lavoratore reclama il diritto a essere ricompreso nel perimetro del segmento aziendale ceduto e, quindi, la prosecuzione del rapporto di lavoro con il soggetto cessionario.

La Corte di cassazione (sentenza 28750/2019) raggiunge questa conclusione - e qui sta la novità della decisione - facendo riferimento a entrambe le fattispecie previste alle lettere C e D del comma 4: la prima prevede il rispetto del doppio termine di decadenza (60 e 180 giorni, rispettivamente, stragiudiziale e giudiziale) in caso di impugnazione della cessione del contratto di lavoro ex articolo 2112, mentre la seconda si riferisce a «ogni altro caso» in cui si chieda la costituzione o l’accertamento del rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso del titolare del contratto.

Per meglio comprendere l’approdo a cui è pervenuta la Suprema corte va segnalato che la controversia era relativa al ricorso di una lavoratrice che, sul presupposto di avere lavorato all’interno del ramo d’azienda oggetto di cessione, ha chiesto che venisse riconosciuto il proprio diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’impresa cessionaria.

La Cassazione afferma che la disciplina sulla decadenza prevista «in ogni altro caso» in cui si chiede l’accertamento del rapporto in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto costituisce una clausola «aperta» di natura eccezionale, la quale impone di essere interpretata con particolare rigore alla luce dei principi espressi, tra l’altro, dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

In questo contesto, l’interpretazione letterale della locuzione «in ogni altro caso» porta a escludere tutte le fattispecie che, a vario titolo, siano già regolate nelle altre lettere del comma 4. Considerando, pertanto, che la lettera c ha già ad oggetto il fenomeno della cessione del contratto di lavoro, non appare possibile, ad avviso della Suprema corte, ricomprendere la domanda diretta alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario all’interno della disciplina della lettera d.

Cassazione, sezione lavoro, sentenza 28750 del 7 novembre 2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©