Codice antimafia, i penalisti bocciano le nuove regole
«Una politica preoccupata di accreditarsi presso la opinione pubblica come paladina della lotta alla corruzione, senza macchia e senza riserve, ha così varato una riforma che aumenta pericolosamente la distanza fra il mondo dell’imprenditoria e dell’economia del Paese, inoculando all’interno dell’intera società un formidabile e pericoloso strumento di destabilizzazione economica, e disincentivando l’iniziativa privata e gli investimenti». Non usa mezzi termini il presidente delle Camere penali, Beniamino Migliucci, nella relazione di apertura del congresso in corso di svolgimento a Roma.
Il nuovo Codice antimafia non piace, e non da oggi, ai penalisti. Averlo approvato in questo scorcio finale di legislatura testimonia «una accelerazione determinata dal desiderio di dimostrare efficienza, condita da una vena di giustizialismo. Poco importa che sia una legge profondamente illiberale che estende ingiustificatamente l’applicazione di norme già sbagliate, retaggio di un’epoca autoritaria, a fattispecie di reato e illeciti che nulla hanno a che vedere con il fenomeno mafioso».
Tanto più che un’altra agenda era possibile. In questo modo infatti, stigmatizzano i penalisti, sono state lasciate per strada leggi impegnative come lo ius soli, la morte assistita, una decente legge sulla tortura, la legalizzazione delle droghe leggere, le norme sui magistrati in politica.
E il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, intervenuto al congresso, ha auspicato che «il Codice Antimafia, misura così divisiva, possa essere interpretato e applicato in modo che le misure di prevenzione siano adottate nel rispetto dei diritti e delle garanzie fondamentali di ciascuno».
E sull’altro tema “caldo” di questi giorni, l’intervento sulla diffusione delle intercettazioni, Migliucci, apprezzando la disponibilità del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a un confronto, mette in evidenza che il punto di partenza deve essere il riconoscimento che «le norme del codice di procedura penale poste a tutela del segreto o che stabiliscono il divieto di pubblicazione di atti o di immagini sono state aggirate e disapplicate. Per evitare che ciò avvenga e che la delega rimanga priva di effetti, è necessario non solo vietare la trascrizione di conversazioni i cui contenuti non siano rilevanti ai fini del procedimento, ma occorre sanzionare tale condotta». Sanzione che poi dovrebbe presidiare, per scongiurare il rischio di un rimedio solo omeopatico, anche il divieto di ascolto delle comunicazioni tra avvocato assistito.
E sul progetto di legge popolare per la separazione delle carriere tra giudici e Pm, Migliucci ha annunciato che sono state superate le 70.000 firme. Legnini, nel «rispetto» per l’iniziativa delle Camere penali, ha tuttavia ricordato che «nei dieci anni di attuazione della riforma nell’ordinamento giudiziario il principio della distinzione delle funzioni è andato via via consolidandosi e i percorsi professionali di giudici e pm vanno sempre più distinguendosi».