Diritto

Codice della crisi, liquidazione controllata con procedura semplificata

Si delinea un istituto deformalizzato e meno complicato rispetto alla ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore, perciò più attrattivo anche per le procedure in continuità

di Fabio Cesare

I nuovi istituti del sovraindebitamento nel Codice della crisi cambiano nome e pelle.

Se il piano del consumatore diventa ristrutturazione dei debiti del consumatore, l’accordo diventa concordato minore e la liquidazione del patrimonio diventa liquidazione controllata, le due procedure di composizione del debito subiscono incisive innovazioni in grado di irrigidirle rispetto al passato. Nella maggior parte dei casi sarà preferibile l’ultimo istituto.

Anzitutto, la procedura del consumatore e il concordato minore sono rigidamente ripartite, sicché la seconda è destinata esclusivamente ai professionisti.

Entrambe diventano procedure aperte e non più chiuse: i beni oggetto della proposta devono essere alienati con modalità competitive e non sarà più possibile essere certi della proprietà dei beni compresi nel piano dopo l’omologa come in precedenza.

Il meccanismo del voto nel concordato minore si complica sotto il profilo delle maggioranze: l’approvazione avviene con il consenso scritto del 50% più uno degli aventi diritto (e non più il 60%), con il silenzio assenso, ma se un solo creditore è determinante, la proposta deve essere votata anche per teste. Con la suddivisione in classi, il piano deve essere approvato anche dal maggior numero di esse.

Se è prevista la continuità, oppure la tutela delle parti lo richiede ed è stato richiesto il blocco delle azioni esecutive, può essere nominato un commissario giudiziale all’apertura del concordato.

Quando invece il concordato minore non è in continuità, deve esserci un incremento apprezzabile del realizzo rispetto alla soluzione liquidatoria, e non si comprende perché il debitore debba preferire in tal caso la procedura di composizione del debito con maggiori oneri.

Non è difficile pensare che senza immobili irrinunciabili, la liquidazione controllata potrebbe diventare la soluzione più snella e a buon mercato per ottenere l’esdebitazione.

Il nuovo istituto, ora aperto anche ai terzi se nell’istruttoria risultano crediti per oltre 50mila euro, non prevede infatti particolari formalismi: non è necessaria una documentazione fissata ex lege, può essere aperto anche in presenza di atti di frode e dopo tre anni è possibile accedere all’esdebitazione di diritto, dunque con un meccanismo in qualche modo automatico.

La nuova liquidazione controllata ha poi un maggiore controllo sulla misura del mantenimento destinato alla famiglia del debitore, perché la quota del reddito da destinare ai creditori concorrenti non è più fissata dal Tribunale, ma dal liquidatore giudiziale. Questi è di norma lo stesso gestore della crisi che ha redatto la relazione particolareggiata: la quota del reddito vincolato ai creditori sarà confermata nel programma di liquidazione, senza particolari scostamenti rispetto al ricorso introduttivo.

Inoltre la liquidazione controllata potrà essere richiesta anche in assenza di beni, in virtù del richiamo alla previsione di insufficiente realizzo della liquidazione giudiziale (articolo 233 del Codice della crisi) operata dall’articolo 276 del Codice: senza beni, la procedura si chiude subito, il che presuppone che si possa aprire senza nulla da esitare, ed è possibile accedere subito all’esdebitazione.

Si delinea così un istituto elastico, deformalizzato e meno complicato rispetto alla ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore, perciò più attrattivo anche per le procedure in continuità. Infatti, con il decreto di chiusura, nelle società di capitali il liquidatore giudiziale convoca l’assemblea dei soci anche per le delibere destinate alla ripresa dell’attività con il debitore stesso.

Si tratta pertanto di un istituto non destinato soltanto alla definitiva distruzione del valore sistemico dell’azienda, ma pensato persino per la continuità.

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