Commercialisti, incompatibilità con la carica di amministratore anche se la società è all’estero
La disciplina sull’incompatibilità tra la professione e la carica di socio amministratore non prevede un’esimente in base al luogo di svolgimento dell’attività
L’incompatibilità tra la professione e la carica di amministratore di società scatta anche quando la società amministrata è estera. E se un commercialista trasferisce la propria residenza all’estero in quanto centro principale dei propri interessi economici e professionali perde i requisiti per mantenere l’iscrizione all’Albo. è quanto chiarisce il Pronto ordini 145/2022 pubblicato sul sito del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili il 27 dicembre a due quesiti posti dall’Ordine di Fermo.
Amministratore di società estera
Il primo quesito riguarda la sussistenza o meno dell’incompatibilità nel caso di un iscritto che risulti essere socio di capitale e amministratore in una società con sede legale all’estero.
Il Consiglio nazionale, per rispondere, richiama la norma che sancisce l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e l’esercizio per conto proprio, in nome proprio o altrui, di attività d’impresa, e cioè l’articolo 4 del Dlgs 139/2005. Questo articolo, al comma 1, non circoscrive il luogo di esercizio dell’attività “incompatibile”; l’elemento territoriale non viene menzionato neppure nel comma 2 dell’articolo 4, che prevede i casi di esclusione dell’incompatibilità.
A ciò va aggiunto che secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale, le incompatibilità previste dall’ordinameto sono tassative e di stretta interpretazione.
Date queste premesse secondo il Cndcec, l’incompatibilità di determinate attività previste dalla legge prescinde dal luogo del loro effettivo esercizio. Secondo il Consiglio nazionale non si tratta di applicare ad ordinamenti esteri la norma interna sull’incompatibilità, perché se l’iscritto intende esercitare in Italia la professione deve attenersi alle regole interne, a prescindere da quanto previsto negli altri ordinamenti. In merito viene anche richiamato l’articolo 12 del Codice deontologico in base al quale il professionista che eroga prestazioni professionali al di fuori del territorio italiano deve applicare sia le disposizioni del Codice della professione interno, sia le norme deontologiche vigenti nel paese estero (a prescindere se le norme deontologiche estere impongano qualcosa di ulteriore rispetto a quello italiano).
Trasferimento all'estero della residenza
Il secondo quesito riguarda il trasferimento del professionista in un altro Stato. Il Consiglio nazionale ribadisce che nel caso di trasferimento della residenza all’estero il commercialista può mantenere l’iscrizione all'Albo solo se nel circondario dell’Ordine abbia o mantenga il proprio domicilio professionale inteso come luogo in cui esercita in maniera “prevalente” ed effettiva la propria attività professionale.
Il compito di verificare ciò spetta all’Ordine professionale di appartenenza. Sul concetto di domicilio professionale il Consiglio nazionale è stato più volte interpellato; nell’ultimo anno si veda la risposta contenuta nei PO 74 e 120/2022 pubblicata sul sito di categoria nel mese di maggio.