Diritto

Concordato non revocabile d’ufficio, serve il ricorso

Anche se gli atti gestionali non sono coerenti con gli obiettivi da realizzare

di Giovanbattista Tona

La revoca del concordato preventivo dopo l’omologazione del piano non può essere disposta dal tribunale, anche se il commissario giudiziale ha riferito al giudice delegato comportamenti del debitore non compatibili con l’attuazione del piano o fatti dai quali possa derivare pregiudizio ai creditori. L’annullamento e la risoluzione del concordato già omologato può avvenire solo a seguito di apposito giudizio che presuppone l’iniziativa dei creditori, unici soggetti legittimati a promuoverlo.

Questo emerge dal decreto emesso dal Tribunale fallimentare di Viterbo del 18 novembre 2021 che ha sancito il principio secondo il quale la procedura concorsuale del concordato preventivo nella fase dell’attuazione del piano non può essere interrotta d’ufficio dall’autorità giudiziaria procedente.

Il provvedimento è stato emesso in seguito ad alcune segnalazioni di atti gestionali non coerenti con il piano omologato da parte del commissario giudiziale al giudice delegato.

I giudici viterbesi, rifacendosi ad un precedente del Tribunale di Monza del 13 febbraio 2015, hanno affermato che la pubblicazione del decreto di omologazione determina l’esaurimento della procedura di concordato preventivo.

Nella fase successiva, che è disciplinata dagli articoli 185 e 186 della legge fallimentare e che ha carattere meramente esecutivo, il commissario giudiziale deve verificare che l’andamento economico della società sia in linea con quanto previsto dal piano omologato dal tribunale e che non vengano compiuti atti gestionali estranei alle previsioni del piano che rendano probabile, se non certo, il futuro inadempimento della proposta. In tal caso dovrà adottare le iniziative volte a provocare l’intervento del tribunale ai sensi degli articoli 137 e 138 legge fallimentare, norme che prevedono appunto l’azione di risoluzione o di annullamento del concordato.

Come ha affermato la Cassazione con la sentenza 19005/2020, deve confinarsi alla fase antecedente all’omologa del piano la possibilità per il tribunale di aprire d’ufficio la procedura disciplinata dall’articolo 173 della legge fallimentare per la revoca dell’ammissione al concordato; essa va avviata quando il commissario giudiziale accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode.

Al di fuori di questi casi a fronte della segnalazione del commissario la legge fallimentare non prevede alcun potere di coazione in capo al giudice, che dovrà vigilare sulla prosecuzione delle attività di sorveglianza e soprattutto dovrà verificare che il commissario informi tempestivamente il ceto creditorio in modo che ciascun creditore possa valutare se promuovere il ricorso per la risoluzione del concordato per inadempimento ai sensi dell’articolo 186 della legge fallimentare. Il tribunale può al più - come previsto dall’articolo 185 legge fallimentare - attribuire al commissario i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questi richiesti e non adempiuti o in caso di società nominare un amministratore giudiziario, revocando l’organo amministrativo

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