Adempimenti

Consapevole partecipazione alla frode da provare

La Corte sulle fatture soggettivamente inesistenti

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

In caso di fatture soggettivamente inesistenti l’amministrazione deve dimostrare, anche in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario della partecipazione alla frode. A tal fine l’ufficio sulla base di elementi oggettivi e specifici deve provare che il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale, o almeno che possedeva indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, della sostanziale inesistenza del contraente.

A confermare questo importante principio è la Cassazione con l’ordinanza 15005/2020.

Una società attiva nella commercializzazione di autovetture era coinvolta in una cosiddetta frode carosello perpetrata a mezzo di emissione di fatture soggettivamente inesistenti. Impugnava l’accertamento con cui l’ufficio contestava la deducibilità delle imposte sui redditi e l’indetraibilità dell’Iva. La competente Ctp accoglieva il ricorso ma in appello confermava la rettifica anche se solo ai fini Iva.

La Ctr riteneva indetraibile l’Iva relativa a fatture non intestate all’effettivo venditore, in quanto l’operatore è tenuto a verificare con attenzione la provenienza delle merci soprattutto quando provengono da soggetti evanescenti e sospetti dediti ad altre attività.

La società ricorreva per cassazione eccependo, in buona sostanza, che la Ctrf non illustrava le ragioni per ritenere gli acquisti riconducibili a operazioni soggettivamente inesistenti e soprattutto i motivi della propria consapevolezza rispetto alla frode.

La Cassazione ha accolto il ricorso. I giudici hanno evidenziato che se l’amministrazione contesta fatturazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, deve provare anche solo in via indiziaria, non soltanto la oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione di imposta. La prova della consapevolezza dell’evasione richiede la dimostrazione, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operaizone si inseriva in una evasione fiscale ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediante esperto, della sostanziale inesistenza del contraente.

A questo punto il contribuente deve provare di aver agito in assenza di consapevolezza rispetto alla frode e di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in relazione al caso concreto. Nella specie la Ctr si era limitata a confermare la contestazione dell’ufficio senza spiegare per quali elementi poteva ritenersi provato il ruolo di cartiera dei fornitori e soprattutto la consapevolezza della società nella frode Iva.

L’ordinanza è di sicuro interesse anche perché si spera che ora gli uffici abbandonino la prassi, purtroppo diffusa, in presenza di un fornitore sospetto, di contestare la fittizietà soggettiva dell’operazione pretendendo l’Iva dall’acquirente. Spesso, peraltro, la frode del fornitore emerge a seguito di complesse indagini svolte con gli strumenti e i poteri dell’amministrazione che il contribuente (acquirente) non ha, per cui mal si comprende come avrebbe potuto insospettirsi.

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