Diritto

Decreto 231, adottare i modelli non mette al riparo da sanzioni

È un’efficacia ancora limitata quella dei modelli organizzativi per scongiurare le contestazioni da decreto 231. Lo attestano i dati raccolti dall’Università Statale di Milano

immagine non disponibile

di Giovanni Negri

È un’efficacia ancora limitata quella dei modelli organizzativi per scongiurare le contestazioni da decreto 231. Lo attestano i dati raccolti dall’Università Statale di Milano (Dipartimento di Scienze giuridiche «Cesare Beccaria», Sezione di Scienze penalistiche) su sei anni, 2016-2021, di applicazione della disciplina sulla responsabilità delle imprese da parte del tribunale di Milano, la sede giudiziaria forse più avanzata nel contrasto alle forme più gravi di criminalità economica. Attraverso una convenzione fra università e ufficio giudiziario è stato possibile concentrarsi su 195 sentenze, di cui 41 condanne, 61 concluse con patteggiamento, 56 assoluzioni, 28 non luogo a procedere, 8 ordinanze relative a questioni di competenza e giurisdizione.

In linea generale, tenuto contro anche dell’impatto covid, il numero di pronunce del tribunale dopo il picco di 49 del 2019 è andato diminuendo, alle 24 del 2020 e 33 del 2021, a riprova del relativo utilizzo sottolineato in passato anche dai vertici della Procura di uno strumento comunque di grande rilevanza nel contrasto a fatti criminali che vedono coinvolte imprese.

Il livello di profondità della ricerca permette di soffermarsi su quello che appare da 20 anni a questa parte uno dei principali nodi critici della disciplina, quello dell’efficacia esimente dell’adozione dei modelli organizzativi. Perché da tempo, e anche in una prospettiva di revisione del decreto 231, si ragiona su un rafforzamento della tutela offerta dai modelli, in maniera tale da mettere le società il più possibile al riparo da contestazioni.

Alla prova dei fatti, ed è uno degli elementi più significativi della ricerca della Statale di Milano in attesa che anche la Procura generale della Cassazione diffonda una versione più evoluta dei dati nazionali sui quali da tempo sta lavorando, allora l’efficacia dei modelli è stata almeno relativa, visto che su 53 società che il modello l’avevano adottato prima della contestazione da parte del pubblico ministero, alla fine meno della metà, 23, sono state prosciolte nel merito, mentre ben 27 sono state comunque colpite da sanzione. A rovescio, delle 94 società che non ha mai adottato un modello di organizzazione, 29 sono state prosciolte nel merito mentre 63 sono state colpite da sanzione.

Quanto al settore economico di appartenenza delle 301 società incolpate, 78 appartengono al manifatturiero, 53 al settore commerciale e 61 a quello dei servizi. La tipologia societaria vede di gran lunga in primo piano le società a responsabilità limitata, 156, e le spa, 94. Poche le società di diritto straniero, in tutto 15.

La graduatoria dei reati presupposto nei quali più facilmente incappano le imprese vede in testa con 60 contestazioni quelli ambientali, 47 quelli di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime in violazione delle norme a tutela della sicurezza del lavoro, terzo posto, ma a distanza, la truffa ai danni dello Stato e l’indebita percezione di erogazioni pubbliche, con 25 contestazioni. A colpire però è anche un’assenza, quella di contestazioni per reati tributari, che certo per essere riconosciute in un sentenza almeno di primo grado dovranno ancora aspettare del tempo. E tuttavia la mancanza di provvedimenti a fronte dell’assai dibattuto inserimento dei delitti fiscali nel catalogo di quelli sanzionabili con la responsabilità delle imprese fa riflettere.

Detto che le sanzioni qui prese in considerazione sono quelle pecuniarie, l’importo più frequentemente inflitto va da un minimo di 35.800 euro a un massimo di 99.999, secondo il canonico sistema delle quote (258 euro a quota).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©