Contabilità

Il Fisco pesa le perdite nelle cessioni con dote

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di Giorgio Gavelli e Fabio Giommoni

Liberarsi di una partecipazione pagando l’acquirente perché si accolli le problematiche che esse incorporano. Si tratta di operazioni che, in questi ultimi anni, sono state concluse con una certa frequenza e che – in alcuni casi – hanno avuto molta attenzione da parte della stampa economica. Il loro trattamento contabile e fiscale, tuttavia, non è codificato, anche se i dubbi principali sono stati affrontati dalle Entrate con la risposta all’interpello 39 del 19 ottobre scorso.

I principi contabili non trattano il caso in cui l’acquisto di una partecipazione avvenga a un prezzo simbolico, incamerando una somma versata dal cedente. Tuttavia, è previsto (Oic 21, paragrafo 40) che nel caso in cui la società partecipante sia obbligata a farsi carico della copertura delle perdite conseguite dalla partecipata può rendersi necessario un accantonamento al passivo per poter far fronte, per la quota di competenza, alla copertura del deficit patrimoniale della partecipata.

La posizione delle Entrate

Nel caso sottoposto all’Agenzia, all’atto dell’acquisto di una partecipazione valutata negativamente, l’acquirente ha ricevuto una provvista e contabilizzato al passivo un fondo per rischi e oneri specifico, a fronte della copertura delle probabili perdite future stimate in capo alla partecipata. In effetti, negli esercizi successivi, una parte del fondo è stata utilizzata per la copertura (in proporzione alla quota di pertinenza) delle perdite manifestatesi, per effetto delle quali la società partecipante era stata costretta a rinunciare ai finanziamenti concessi.

Successivamente, tale partecipazione è stata trasferita a terzi, sempre al valore simbolico di 1 euro, con stralcio del fondo rischi residuo e rilevazione a conto economico di un provento da partecipazione di pari importo.

Il quesito rivolto all’Agenzia ha come oggetto principale il trattamento fiscale di tale stralcio, con particolare riferimento al funzionamento del meccanismo della participation exemption (articolo 87 del Tuir), di cui la quota trasferita presentava tutti i requisiti sia in capo all’originario cedente (che aveva ripreso a tassazione la minusvalenza derivante dalla cessione, ai sensi dell’articolo 101 del Tuir), sia al momento della successiva alienazione.

La plusvalenza

Secondo le Entrate, la “dote” può essere considerata, ai fini fiscali, come una componente negativa del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, in quanto strettamente connessa alla medesima. E questo tanto per la quota parte utilizzata per la capitalizzazione necessaria alla copertura delle perdite sofferte dalla partecipata che per il residuo rilasciato a conto economico all’atto della cessione. Quindi, la cessione a 1 euro comporta una plusvalenza che in presenza della condizione di cui all’articolo 87 Tuir, costituisce un importo imponibile per il 5% del suo ammontare.

Del resto, la valutazione della quota ceduta (per quanto negativa) è migliore al momento del secondo trasferimento rispetto al primo, a testimonianza che, nel periodo considerato, la società partecipata si è apprezzata, giustificando una plusvalenza.

Il precedente

L’Agenzia, con risoluzione 184/E/2007, aveva già affrontato il trattamento fiscale del cosiddetto badwill (o avviamento negativo) in caso di acquisto diretto di una azienda in perdita e con prospettive fortemente negative.

Anche in quella ipotesi, la differenza (negativa) tra il prezzo pagato per l’acquisizione e il valore netto delle attività e passività acquisite era stato allocato in un fondo rischi e oneri futuri, da rilasciare gradualmente a conto economico a copertura delle perdite annualmente sofferte dal ramo di azienda acquisito, ed eventualmente da rilevare quale provento straordinario per la quota di perdite che non si sarebbero poi verificate.

Secondo l’Agenzia, in entrambe le ipotesi l’utilizzo del fondo si presenta come fiscalmente rilevante, in applicazione del principio di derivazione (semplice). La medesima rilevanza si avrebbe, sempre secondo la risoluzione citata, in caso di trasferimento, a qualsiasi titolo, del ramo di azienda, evento che renderebbe non più giustificabile il mantenimento nello stato patrimoniale del fondo creato all’atto dell’acquisizione.

Si tratta di situazioni che erano pressoché sconosciute prima della crisi economica, ma che oggi sono ben presenti nella pratica professionale: si possono presentare nel caso di condizioni soggettive di negoziazione particolarmente favorevoli all’acquirente; qualora, per effetto di una svalutazione straordinaria del cespite o di un forte diminuzione dei tassi di mercato, il valore di mercato del bene sia divenuto inferiore rispetto al fair value del debito.

Gli altri approfondimenti

Le plusvalenze patrimoniali (per consultarlo clicca qui)
di Studio associato Cmnp

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