Il trattamento Iva dei servizi accessori segue quello dell’operazione principale
Esenti Iva i servizi di intermediazione resi da un soggetto residente ad altro residente in uno Stato membro Ue e i servizi accessori legati all’operazione medesima. È quanto sostiene la Corte di cassazione con l’ordinanza del 31 luglio 2018 n. 20234 con la quale i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate. Per la Suprema Corte l’esenzione si applica in base all’articolo 40, comma 8, del Dl 331/93.
Nel caso sottoposto al giudizio della Cassazione, una società residente si impegnava, in forza di un contratto, a commercializzare prodotti e ad offrire servizi di natura tecnica e amministrativa a un’altra società residente in Ue.
La vicenda trae origine da un provvedimento di diniego di rimborso Iva, richiesto dalla società italiana, relativo ad una serie di fatture emesse nei confronti della consociata estera per l’attività di vendita e promozione di prodotti di quest’ultima.
Il ricorso proposto dalla società avverso il diniego, veniva accolto dai giudici di primo grado che ne dichiaravano la nullità per insufficiente motivazione. Circostanza confermata in secondo grado, dove i giudici, altresì, escludevano la configurabilità di un “contratto di rappresentanza” piuttosto che un “contratto di agenzia” la cui causa tipica, «da inquadrarsi nella nozione di cui all’articolo 1742 del Codice civile, non viene mutata da prestazioni accessorie poste convenzionalmente a carico dell’agente». Ne derivava che le fatture emesse dalla società residente alla consociata non residente non dovevano essere assoggettate ad Iva, in quanto sono esenti le prestazioni accessorie «poste convenzionalmente a carico dell’agente, dato che nella promozione di contratti per conto del proponente rientrano molteplici attività di impulso e agevolazione, finalizzate a suscitare, sostenere incrementare e convogliare verso l’acquisto la domanda del prodotto offerto dall’impresa proponente».
La Corte di Cassazione sottolineava che la qualificazione del contratto tra le due società non costituiva la ragione determinante dell’esenzione Iva, riconosciute alle operazioni di intermediazione dell’articolo 40, comma 8 del Dl 30 agosto 1993, n.331 convertito nella legge 29 ottobre 1993, n.427 nel testo applicabile ratione temporis.
I giudici di legittimità attribuivano scarsa rilevanza al nomen iuris attribuito dalle parti, considerando la pattuizione di un unico compenso sui costi dell’attività considerata nel complesso e non nel singolo servizio offerto, la ragione determinante per considerarla attività di intermediazione di derivazione europea. Secondo la Suprema Corte «in tema di Iva, il contratto con il quale un soggetto italiano si impegna, a fronte della pattuizione di un compenso unitariamente determinato, a commercializzare i prodotti di un altro soggetto appartenente alla Ue offrendo, altresì, una serie di altri servizi, tecnici e amministrativi, costituenti il mezzo per una migliore fruizione dei prodotti commercializzati, va considerato, ai fini dell’applicazione dell’imposta, quale un’unica operazione economica, sicché non è possibile scindere i servizi di intermediazione propriamente detti dagli altri servizi offerti, da ritenersi accessori ai primi. […] se per i servizi di intermediazione resi da un soggetto italiano ad altro soggetto di altro Stato membro della Ue trova applicazione l’esenzione da Iva di cui all’articolo 40, comma 8, del Dl 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modiche nella legge 29 ottobre 1993, n. 427 (nel testo applicabile ratione temporis), sono esentati dall’imposta anche i servizi accessori […]».
L’autrice è un ex studentessa del Master tributario della 24 Ore Business school