Professione

Il tributarista fuori Albo ha diritto al compenso

La sentenza 15004 della Cassazione: la trasparenza sui titoli realmente posseduti esclude l'esercizio abusivo. Non è nullo il contratto per tenuta contabilità e redazione dichiarazioni

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di Patrizia Maciocchi

La mancata iscrizione all’albo degli esperti contabili non basta per negare il compenso al ragioniere che tiene la contabilità aziendale, redige le dichiarazioni fiscali e fa i relativi pagamenti, senza indurre il cliente a credere che l’iscrizione all’albo ci sia. La seconda sezione civile della Cassazione (sentenza 15004) accoglie il ricorso di un ragioniere che, senza successo nei primi due gradi di giudizio, aveva reclamato il diritto al compenso per attività svolte dopo l’entrata in vigore della disciplina che ha riformato la professione di commercialista e di esperto contabile (Dlgs 139/2005).

Norme, utilizzate dai giudici di merito, per affermare la nullità del contratto con la società per la quale il ragioniere teneva i libri contabili, approntava il bilancio annuale, le dichiarazioni Iva, dei redditi e il sostituto di imposta. Compiti che rientravano nella competenza tecnica degli esperti contabili (articolo 1 del Dlgs 139/2005, sezione B), ed erano dunque preclusi al ragioniere. Il ricorrente, oltre al titolo, aveva dalla sua solo un’iscrizione alla Camera di commercio industria e artigianato nel ruolo dei periti ed esperti della categoria tributi.

Per i giudici di prima istanza la sua abilitazione era limitata alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali e al rilascio di visti di conformità. In assenza dell’iscrizione all’albo era dunque scattato il no al compenso per una prestazione resa sulla base di un contratto nullo.

Verdetti che la Cassazione ribalta, ripercorrendo l’evoluzione della giurisprudenza, facendo poi leva su quanto affermato dalle Sezioni unite penali (sentenza 11545/2011) riguardo all’esercizio abusivo della professione. Per il Supremo consesso rientrano nell’esercizio abusivo della professione (articolo 348 del Codice penale) gli atti «relativamente liberi» che qualificano una determinata professione anche se non attribuiti in esclusiva, se svolti da chi non è abilitato in modo stabile organizzato e retribuito, in modo da creare tutte le apparenze dell’abilitazione. Ma solo a queste condizioni, che traggono in inganno i terzi, la condotta è considerata punibile. Non c’è invece rilevanza penale quando l’attività è svolta in maniera trasparente. E dunque quando chi agisce «espliciti in modo inequivoco che egli non è munito di quella specifica abilitazione e opera in forza di altri titoli...».

Nel caso esaminato le attività di tenuta e redazione di libri contabili, fiscali e del lavoro, come l’elaborazione e la predisposizione delle dichiarazioni e degli adempimenti tributari, sono inserite tra quelle di competenza tecnica degli esperti contabili. E il loro svolgimento, dopo l’entrata in vigore del Dlgs 139/2005 integra il reato di esercizio abusivismo della professione di esperto contabile, da parte dei non iscritti, solo se svolto «in modo continuativo organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di tale iscrizione».

Secondo la Cassazione, correttamente dunque la Corte territoriale ha chiarito che il reato è ipotizzabile anche in caso di esercizio di attività non «esclusive», ha però sbagliato ad affermare la nullità del contratto e a negare il compenso senza verificare se il ricorrente avesse ingannato i clienti con la sua condotta, malgrado risultasse in sentenza il possesso del titolo di ragioniere e l’iscrizione alla Camera di commercio. Il ricorso è accolto e la sentenza annullata con rinvio.

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