Imposte

Impresa 4.0 triennale con bonus al 15% per lo smart working

In vista la proroga al 2022 con tax credit su R&S al 20% ma c’è la stretta sui controlli

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di Carmine Fotina

Sussidi, ammortizzatori sociali, indennizzi a pioggia o quasi. Poi, per rimettere in piedi l’economia reale, servirà anche rimettere mano alle policy per gli investimenti delle imprese e per l’innovazione. Così, non senza qualche difficoltà, dovuta all’esigenza di selezionare tra centinaia di proposte formulate da tutti i ministeri, torna in discussione il piano Impresa 4.0.

Ribattezzato piano “Transizione 4.0” dall’attuale ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (Cinque Stelle), il programma era stato strutturalmente riformato con l’ultima legge di bilancio. La vecchia coppia di incentivi costituita dal superammortamento (per l’acquisto di beni strumentali tradizionali) e dall’iperammortamento (beni per la digitalizzazione) è stata sostituita da un unico credito d’imposta con aliquote differenziate, tra le perplessità generali per il ridimensionamento dell’effetto finale di vantaggio fiscale. Nel frattempo, nei primi mesi del 2020 gli investimenti industriali sono crollati e l’emergenza economica innescata dalla pandemia sta diventando il motivo ufficiale per tornare indietro, irrobustendo almeno in parte l’intensità degli aiuti. E per mantenere gli annunci fatti ormai sei mesi fa in merito all’estensione del piano su base triennale.

Lo schema di riforma elaborato dal ministero dello Sviluppo economico è ormai pronto, fino a ieri sera erano in corso confronti tecnici con l’Economia per provare a inserirlo già nel decreto che approda forse oggi al consiglio dei ministri. Se non dovesse riuscire l’inserimento in extremis in questo provvedimento, potrebbe essere necessario attendere l’autorizzazione di un ulteriore scostamento di bilancio, a valere sul 2021.

Incentivi su tre anni

Lo schema di riforma prevede innanzitutto la proroga del Piano: saranno agevolabili gli investimenti effettuati entro il 2022 mentre oggi sono coperti solo quelli del 2020, con coda per le consegne fino a metà 2021 nel caso di un acconto pari ad almeno il 20%. L’estensione temporale riguarderebbe sia il credito di imposta che sostituisce super e iperammortamento, sia quello destinato alla ricerca/sviluppo/innovazione sia il bonus per la formazione 4.0.

Sale l’ex superammortamento

Si punta a cambiare al rialzo, come detto, alcune percentuali del beneficio fiscale. Salirebbe dal 6 al 10% il credito di imposta per i beni strumentali tradizionali (ex superammortamento) con un ulteriore incremento al 15% se le spese vengono effettuate per dispositivi tecnologici funzionali a favorire il “lavoro agile”. Il tetto di investimento resterebbe fissato a 2 milioni. L’impostazione della riforma sembra rinverdire dunque il vecchio incentivo per le macchine tradizionali, lasciando però in modo un po’ sorprendente inalterate le percentuali per i più performanti investimenti rivolti alla digitalizzazione 4.0 (40% fino a 2,5 milioni e 20% tra 2,5 e 10 milioni).

Il bonus ricerca

Più consistente l’intervento sul credito di imposta per gli investimenti in ricerca. In questo caso si prevede l’innalzamento dal 12 al 20% del “bonus” riservato alle attività di ricerca fondamentale, industriale e sviluppo sperimentale, con conseguente passaggio del tetto di spesa ammissibile da 3 a 5 milioni. Incremento in vista anche per il tax credit destinato a interventi di ricerca mirati su transizione ecologica e trasformazione digitale 4.0: dal 10 al 15% e tetto di spesa da 1,5 a 2 milioni. Le altre tipologie di credito di imposta per la ricerca manterrebbero inalterata l’intensità del beneficio, cioè 6% sia per l’innovazione sia per il design. In quest’ultimo caso, però, lo schema di riordino prevede di includere tra le spese ammissibili anche i canoni relativi ai software.

La stretta sui controlli

Nel progetto c’è anche un’intensificazione dei controlli. Per gli investimenti relativi ai beni digitali materiali e immateriali sarà introdotto, in analogia agli adempimenti documentali previsti per il credito d’imposta ricerca e sviluppo e per quello sulla formazione 4.0, un obbligo di certificazione dei costi sostenuti. Inoltre, si prevede che la perizia che attesta la riconducibilità dei beni agli elenchi di quelli incentivabili e il rispetto dei requisiti previsti, incluso quello di interconnessione, debba essere asseverata e non semplice.

Regolarizzazione

Negli ultimi anni il “bonus” ricerca si è contraddistinto per complicazioni e contenziosi, dovuti a ripetuti interventi di prassi dell’Agenzia delle entrate e del ministero dello Sviluppo che spesso arrivavano dopo la fruizione del beneficio. In altre occasioni si sono verificati abusi. Ora si punta a consentire alle imprese che si siano avvalse in modo non corretto della norma di regolarizzazione della propria posizione fiscale, senza applicazione di sanzioni e interessi, attraverso il riversamento rateizzato (quattro quote) dell’importo del credito indebitamente utilizzato in compensazione. Dalla sanatoria sarebbero comunque escluse le condotte fraudolente.

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