Imposte

Imprese, addio graduale all’Irap. L’Ires tenta la semplificazione

Il superamento dell’imposta regionale dovrà però garantire la copertura del fabbisogno sanitario

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di Luca Gaiani

Tassazione del reddito di impresa con aliquota proporzionale uniforme per società di capitali e imprese personali e attenuazione delle differenze tra utile contabile e imponibile fiscale. Sono questi i principali elementi della revisione dell’Ires previsti dal disegno di legge delega per la riforma fiscale. Una riforma, annuncia nero su bianco l’articolo 6 della bozza di legge delega visionata dal Sole 24 Ore, che potrà dirsi completa «solo procedendo ad un graduale superamento dell’Irap», garantendo in ogni caso il finanziamento del fabbisogno sanitario.

I decreti delegati dovranno rendere neutrali i diversi sistemi di tassazione delle imprese per evitare fenomeni distorsivi nella scelta del tipo di società con cui svolgere l’attività.

Il disegno di legge sulla revisione del sistema fiscale contiene, all’articolo 4, alcuni stringati principi direttivi, di carattere generale, a cui dovrà uniformarsi il Governo nell’esercizio della delega.

Il più importante è certamente costituito dall’eliminazione delle differenti aliquote impositive sul reddito di impresa, attualmente vigenti, nel caso in cui l’attività sia gestita attraverso società di capitali (Spa, Srl), con una impresa individuale o una società di persone (Snc o Sas).

Il criterio direttivo per eliminare queste differenze è costituito dalla introduzione di un meccanismo di tassazione “separata”, e ad aliquota proporzionale, del reddito di impresa a prescindere dal soggetto (Ires o Irpef) che lo produce. Questo meccanismo servirà anche a evitare (ulteriore principio della riforma) che la forma giuridica dell’azienda venga scelta solo in funzione del minor carico fiscale.

Un sistema simile, lo ricordiamo, è già stato proposto in passato, ma non è mai stato effettivamente applicato. La legge di Bilancio 2017 introdusse un regime opzionale di flat tax (con aliquota pari a quella dell’Ires, cioè il 24%) per il reddito delle imprese individuali e delle società di persone (Snc e Sas), la cosiddetta Iri, ma la norma fu abrogata due anni dopo (dalla legge di Bilancio 2019) senza mai essere entrata in vigore. Il reddito soggetto ad Iri avrebbe poi dovuto subire il conguaglio impositivo ad aliquota Irpef progressiva solo nel momento della sua eventuale distribuzione all’imprenditore o ai soci, in modo analogo a quanto avviene per le Srl e le Spa. Il meccanismo di tassazione che era stato previsto all’epoca si caratterizzava per una estrema complessità applicativa che rischiava di renderlo poco attraente. È dunque auspicabile che, anche per rispettare gli altri principi ispiratori della riforma, la futura tassazione separata del redito di impresa sia caratterizzata da regole chiare e semplici.

Un secondo principio a cui dovrà ispirarsi la revisione della tassazione delle imprese e delle società di capitali (Ires) riguarda la semplificazione e l’attenuazione degli adempimenti amministrativi, da attuare allineando i valori fiscali (e dunque la quantificazione dei costi e dei proventi rilevanti in ambito tributario) a quelli contabili e di bilancio. La riduzione delle differenze dovrà riguardare in particolare, precisa il disegno di legge delega, gli ammortamenti. Su questo aspetto va evidenziato che le percentuali previste dal fisco (che spesso per semplicità vengono utilizzate anche nel bilancio d’esercizio, soprattutto dalle imprese medio-piccole) sono contenute in una tabella predisposta nel 1988, che da allora non è mai stata ritoccata per ragioni, come spesso accade, «di gettito». Cioè per non consentire alle società di ottenere deduzioni più rapide delle quote di ammortamento, che avrebbero contratto l’imponibile. Sul versante ammortamenti, è ragionevole ritenere che il riallineamento tra il fisco e la contabilità avverrà non già autorizzando le imprese a dedurre tutto quanto stanziato in bilancio, senza alcun controllo, ma piuttosto revisionando la tabella delle percentuali fiscali e, soprattutto, prevedendone un costante aggiornamento sulla base di stime sulla vita utile dei cespiti nei diversi settori.

Il terzo pilastro della riforma riguarda la revisione del sistema delle variazioni in aumento e in diminuzione. Il nostro Paese si caratterizza da tempo per una miriade di disposizioni che impongono di rettificare i valori iscritti in bilancio (soprattutto quelli dei costi) per quantificare l’imponibile fiscale. Dalle autovetture ai telefoni, dalle spese di trasferta a quelle di ospitalità, i costi del conto economico, ancorché effettivi, reali ed inerenti, devono essere rettificati rendendoli in parte indeducibili (con le cosiddette «variazioni in aumento») o spesati in più annualità. La riforma dovrebbe (il condizionale è d’obbligo visto che incombe sempre il problema «gettito») ridurre queste differenze allineando il nostro sistema a quello dei principali Stati europei.

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