Controlli e liti

In appello non sono ammesse nuove eccezioni integrative

Cassazione (ordinanza 5160/2020): la regola prevista per il processo tributario va rispettata anche dagli uffici

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di Laura Ambrosi

È illegittima l’integrazione in appello dei motivi dell’accertamento attraverso nuove eccezioni: la regola prevista per il processo tributario va, infatti, rispettata anche dagli uffici. Ad affermare questo principio è la Corte di cassazione con l’ordinanza 5160/2020 depositata ieri.

Una società impugnava un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia disconosceva alcuni costi di pubblicità sostenuti per la sponsorizzazione di autovetture da gare. La Ctp accoglieva integralmente il ricorso e l’ufficio appellava la decisione sostenendo che il citato costo costituisse una spesa di rappresentanza e come tale deducibile solo parzialmente.

Il collegio di secondo grado riteneva fondata la tesi dell’Agenzia confermando la debenza della pretesa sul punto. La società ricorreva così in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, che l’accoglimento della doglianza era fondata in realtà su un nuovo motivo di appello introdotto dall’ufficio.

La Suprema corte ha innanzitutto rilevato che mentre nell’avviso di accertamento erano stati recuperati costi di pubblicità perché ritenuti antieconomici, solo nell’atto di appello l’ufficio aveva ritenuto che gli stessi rientrassero nelle spese di rappresentanza. La contribuente aveva eccepito l’inammissibilità della nuova tesi, fin dalla propria costituzione nel giudizio di appello, ma il collegio aveva ritenuto la stessa ammissibile non trattandosi di domanda nuova.

La Cassazione ha così precisato che nel processo tributario di appello, l’amministrazione non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento. Il divieto di domande nuove (disciplinato dall’articolo 57 Dlgs 546/92) trova applicazione anche per l’ufficio finanziario al quale non è consentito avanzare pretese diverse da quelle contenute nell’atto impositivo. Diversamente, infatti, risulterebbe violato il diritto di difesa poiché il contribuente non potrebbe adeguatamente formulare i propri motivi di ricorso.

Nella specie, i giudici di legittimità hanno evidenziato che l’indeducibilità dei costi di pubblicità contestati nell’avviso di accertamento, è contestazione ben diversa dalla eventuale parziale deducibilità delle spese di rappresentanza così classificate solo in appello. La conferma della differenza sostanziale delle due ipotesi era ravvisabile anche nella circostanza che l’avviso di accertamento recuperava integralmente il costo, mentre in appello dalla nuova tesi sulle spese di rappresentanza sarebbe conseguita solo una deducibilità parziale.

La decisione ribadisce che l’avviso di accertamento deve dettagliatamente contenere tutte le ragioni della pretesa, dovendosi escludere che l’Ufficio possa poi integrarle. Indirettamente, è poi richiamata l’attenzione dei giudici di merito a valutare anche possibili tentativi di integrazione.

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