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Italia in ritardo nel recepire le soluzioni rapide sull’Iva nel B2B in vigore nella Ue dal 1° gennaio 2020

Sono ancora giacenti in Parlamento la legge di delegazione europea 2019-2020 e il Ddl sulla legge europea 2019-20

di Raffaele Rizzardi


L'imposta sul valore aggiunto è la principale imposta sui consumi, cioè sul settore che dovrebbe contribuire in gran parte al gettito tributario, in quanto la tassazione sui redditi è sicuramente squilibrata, con la fiscalità progressiva soltanto su alcuni, tra cui quelli di lavoro (in senso lato) e quella forfetizzata sui redditi di capitale e una parte significativa dei redditi immobiliari.

Ogni anno la Commissione europea fa svolgere l'indagine sul cosiddetto tax gap, cioè il differenziale negativo tra quanta Iva viene effettivamente versata all'erario e quanta dovrebbe esserlo in base a dati macroeconomici. Il nostro Paese continua ad avere il primo posto a valore assoluto in questa non felice classifica, con 35,4 miliardi di euro (24,5% della stima). In percentuale la vetta compete alla Romania con il 33,8%.

Al di là della volontà di combattere l'evasione (nessuno si illude con il cashback e la lotteria degli scontrini), un gap, cioè una carenza significativa per i nostri contribuenti e i loro consulenti, riguarda la conoscenza della normativa applicabile.

Questa situazione è ancor più evidente all'inizio del 2021. Sono ancora giacenti in Parlamento il disegno di legge S.1721 (C.2757) - Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 e il disegno di legge C. 2670 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2019-2020.

In quest'ultimo sono direttamente inserite le disposizioni che avremmo dovuto recepire dal 1° gennaio 2020, note come quick fixes, cioè soluzioni "rapide", in quanto dovrebbero servire a chiarire alcuni punti dubbi in attesa della grande novità per le vendite intraunionali B2B, cioè tra soggetti di imposta, per la quale al momento si parla ancora del 1° luglio 2022.

In quel momento quasi tutto quello che sappiamo dal 1° gennaio 1993 verrà meno, e quindi il recepimento tardivo riduce ancora l'utilità delle norme. Utilità che peraltro è stata molto limitata. Parliamo delle regole per il cosiddetto call-off stock, che noi già avevamo come consignment stock, dell’obbligo di iscrizione al Vies per le cessioni intraunionali e delle «cessioni a catena», cioè delle operazioni in cui c'è un solo movimento fisico, a monte del quale vengono eseguite più cessioni.

La cessione a catena più diffusa è quella che chiamiamo "triangolare", e la regola della norma è frutto della costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui una sola operazione si può qualificare come intraunionale, e le altre sono cessioni interne, sia pure con la possibilità di designare l’ultimo acquirente come debitore dimposta nel suo Paese.

Mettiamoci ora nei panni di un'impresa con molte operazioni nell'Unione europea. Dove trova le normative? Le direttive devono essere recepite in una legge nazionale, mentre le disposizioni dei regolamenti sono direttamente applicabili.

Per l’imposta sul valore aggiunto, oltre alla direttiva 2006/112/CE, già oggetto di venti modifiche, abbiamo il regolamento Ue 2011/282, di particolare interesse per i contribuenti, in quanto è stato riscritto successivamente alla modifica delle regole sulla territorialità dei servizi, e poi sulla nozione di immobili e servizi immobiliari, con parecchie definizioni che chiariscono il contenuto della direttiva. È stata adottata con regolamento (UE 2018/1912) la disciplina della prova di uscita dei beni nelle cessioni all’interno dell’Unione europea. Di fatto è servita a poco, tanto che l’agenzia delle Entrate, con la circolare 12 maggio 2020, n. 12/E ha confermato la rilevanza delle precedenti interpretazioni.

Torniamo alle direttive. In teoria il contribuente non dovrebbe occuparsene (i destinatari sono formalmente gli Stati membri dell’Unione), se non per verificare la coerenza della normativa interna, allo scopo di promuoverne la verifica di compatibilità con il diritto europeo. Ma da tempo la Corte di Giustizia europea ha chiarito la nozione di "effetto diretto" delle direttive (c.d. self executing) che contengono disposizioni dettagliate e non condizionate.

L'effetto diretto è particolarmente importante per la normativa relativa alle operazioni transnazionali. Non è infatti immaginabile che la cessione o prestazione resa in un Paese abbia un regime diverso rispetto a dove si verifica l'acquisto o l'utilizzo del servizio.
Una per tutte, anche se non è di ampio utilizzo. Dal 1° gennaio 2019 i provider di servizi online che vendono a privati Ue applicano l’Iva del loro Paese se, nell’arco dell’anno e per la totalità dei Paesi non superano 10.000 euro di volume d'affari. Questa regola definisce il regime Iva sia in uscita che in entrata nell’altro Stato. Orbene la nostra norma di adozione è stata il Dlgs 1° giugno 2020, n. 45, cioè diciassette mesi dalla sua vigenza europea.

Approssimandosi il 1° luglio 2022 confidiamo in un tempestivo recepimento per le grandi novità relative alle vendite a distanza a privati europei, enormemente cresciute con gli acquisti di beni online per effetto dell’emergenza sanitaria. E non basta uscire il giorno prima, perché dietro a questa novità ci sono importanti adempimenti organizzativi, che richiedono un tempo adeguato.

Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24