I temi di NT+Qui Europa

Rappresentante doganale, la Corte di giustizia delimita la responsabilità in solido

Gli effetti della pronuncia che esclude la solidarietà sull’Iva all’importazione e la circoscrive solo ai dazi doganali


Il rappresentante doganale indiretto è debitore, in solido con l’importatore, solo dei dazi doganali relativi alle merci e non anche dell’Iva all’importazione. Il principio, ribadito dalla Corte di Giustizia Ue con la sentenza resa nella causa C-714/20 del 12 maggio scorso (si veda il precedente articolo «Dogane, rappresentante senza solidarietà Iva») consolida la giurisprudenza unionale sul tema, recepita anche internamente dalla Corte di cassazione.

Nel caso in questione, l’agenzia delle Dogane aveva notificato vari atti impositivi agli importatori di merce e allo spedizioniere che aveva operato in veste di rappresentante indiretto. L’ufficio aveva ritenuto che le lettere d’intento allegate alle dichiarazioni di importazione non fossero attendibili a causa di alcuni vizi, in quanto fondate sull’erronea affermazione secondo cui gli importatori erano degli esportatori abituali.

Sulla base di tale contestazione, le Dogane hanno quindi richiesto il pagamento dei dazi e dell’Iva tanto all’importatore quanto allo spedizioniere, sulla scorta dell’applicazione “estensiva” della responsabilità di cui agli articoli 77 e 78 del Codice doganale e dell’articolo 201 della direttiva Iva (2006/112/Ce).

Si ricorda che il debitore dei dazi doganali è il soggetto che è tenuto ad assolvere l’obbligazione doganale. E il Codice doganale qualifica come debitore anche il rappresentante doganale indiretto, posto che questo agisce in nome proprio, ma per conto di un’altra persona: sicché, vi è una responsabilità solidale tra l’importatore e il rappresentante indiretto.

Secondo la Corte di giustizia, la responsabilità solidale trova applicazione con riguardo alla sola obbligazione doganale e non anche all’Iva all’importazione. E infatti, l’Iva all’importazione ha la natura di tributo interno e non di dazio doganale, né di diritto di confine, con la conseguenza che non è possibile estendere la responsabilità solidale doganale a fattispecie diverse e non espressamente previste dalla legge.

La Corte Ue ha quindi concluso che l’articolo 201 della direttiva 2006/112/Ce dev’essere interpretato nel senso che, per quanto riguarda il pagamento dell’Iva all’importazione, non può essere affermata la responsabilità del rappresentante doganale indiretto, in solido con l’importatore, che gli ha conferito un mandato e che esso rappresenta.

Tuttavia, secondo i giudici del Lussemburgo, tale principio può essere derogato internamente allo Stato in quanto una normativa nazionale potrebbe sempre riconoscere la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, in solido con l’importatore, a condizione che tale disposizione di legge sia esplicita e inequivocabile nell’estendere la responsabilità dello spedizioniere.

L’iter motivazionale è condivisibile, in quanto la Corte di giustizia ha correttamente valorizzato i principi e le normative unionali. Peraltro, non si può non evidenziare come gli stessi eurogiudici abbiano dato continuità ai precedenti giurisprudenziali (Cgue, 2 giugno 2016, causa C-226/2014), già recepiti internamente dalla Cassazione (tra le tante, con la sentenza 23674/2019).

Il problema rimane però aperto, dal momento che la Corte Ue qui ci ricorda che, nonostante l’Iva all’importazione e i dazi doganali abbiano caratteristiche essenziali comparabili, perché condividono la medesima origine nell’importazione e introduzione delle merci nell’Unione, la prima non fa parte dei dazi all’importazione.

Motivo per cui spetterà al legislatore procedere con una norma espressa o al giudice comune italiano verificare se la normativa interna “in bianco” effettivamente designi o riconosca esplicitamente e inequivocabilmente il rappresentante doganale indiretto come debitore dell’Iva all’importazione, oltre che dei dazi doganali in solido con l’importatore. Circostanza, quest’ultima, che la Corte Ue sembrerebbe suggerire al giudice interno di escludere, in ossequio al rispetto della certezza del diritto evidenziato dalla stessa Corte fin dalla sentenza C-131/88.