L’amministrazione finanziaria è libera di scegliere il metodo accertativo da utilizzare
Nell’ambito dell’accertamento tributario, rientra tra i poteri dell’amministrazione finanziaria, all’interno della previsione normativa, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare per procedere all’accertamento, del quale il contribuente può dolersi esclusivamente qualora gliene derivi un pregiudizio sostanziale.
A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione con l’ordinanza 26369/2019.
L’amministrazione finanziaria non è pertanto vincolata nella metodica da utilizzare, spettandole il potere di scegliere, nell’ambito dei criteri stabiliti dalla legge, quello ritenuto utile per il buon fine dell’azione accertativa e pertanto, una doglianza che si limiti a contestare la correttezza formale di un atto impositivo in connessione con una scelta discrezionale dell’amministrazione e in assenza di un pregiudizio sostanziale (Cassazione, 8333/2012), risulta inammissibile per difetto di interesse e non è idonea a giustificarne l’annullamento (Cassazione, 16980/2015).
La Corte Suprema, pur confermando il menzionato postulato, ha tuttavia tenuto conto, nell’antecedente sentenza n. 2873/2017, delle peculiarità della fattispecie concreta, concludendo che, considerato il risultato restituito dall’applicazione del metodo scelto dall’Ufficio in termini di percentuale di redditività, non può escludersi che il contribuente abbia subìto un concreto pregiudizio dalla scelta metodologica operata dall’amministrazione finanziaria, apparendo irragionevole e incongrua, alla stregua dei dati riferiti dal contribuente, l’applicazione di una determinata percentuale di ricavi a un’impresa operante quasi esclusivamente nel comparto degli appalti pubblici.
Nella vicenda in commento (ordinanza 26369/2019) sussistevano astrattamente i presupposti per l’accertamento ai sensi dell’articolo 41 del Dpr 600/1973 ma anche ai sensi del comma 2, lettere c) e d) dell’articolo 39 in quanto la contribuente aveva omesso di presentare le dichiarazioni fiscali ma aveva pure omesso di aggiornare, dal 1998, i libri e le scritture contabili il che rendeva evidentemente inattendibile nel complesso la contabilità, a nulla rilevando che le scritture fossero state inizialmente istituite quando da sei anni non recavano più alcuna scritturazione.
A parere dei Giudici del Palazzaccio (sentenza 1555/2012) l’Ufficio ha pertanto titolo per accertare analiticamente il reddito d’impresa di un contribuente anche quando i presupposti all’attività accertatrice siano tali da consentire l’utilizzo del metodo induttivo, non potendo il collegio tributario sostituirsi all’amministrazione finanziaria applicando una metodologia d’accertamento diversa da quella risultante dall’atto impositivo.
La Suprema Corte ha ricordato il consolidato principio, già espresso in diverse precedenti pronunce, in base al quale l’esistenza dei presupposti per procedere all’accertamento induttivo, compresa la circostanza dell’inattendibilità dell’impianto contabile, non comporta l’obbligo a carico dell’ufficio di adottare necessariamente tale metodo accertativo, ben potendo, invece, anche essere utilizzata una procedura di ricostruzione analitica del reddito, oppure entrambe le metodologie contemporaneamente (Cassazione, sentenza 27927/2009).
I giudici di merito, di conseguenza, non hanno titolo per sostituirsi all’ufficio, utilizzando nella loro decisione un metodo diverso da quello adottato nell’atto devoluto al loro giudizio dovendosi limitare, all’opposto, a verificare l’esistenza dei presupposti idonei a legittimare il potere dell’ufficio in concreto esercitato (Cassazione, sentenza 10812/2010).