Controlli e liti

L’immobile da ristrutturare evita la «non operatività»

L’immobile che necessita di una consistente opera di ristrutturazione per essere utilizzabile ai fini turistico-alberghieri deve essere qualificato come «immobilizzazione in corso» e, come tale, non deve partecipare al calcolo per definire la «non operatività» della società proprietaria. È il principio fissato dalla Ctr Campania, sezione staccata di Salerno, con la decisione n. 4402/12/2020 (presidente Buono, relatore Cardona Albini), che conferma quanto già deciso in primo grado.
La vicenda riguarda una società proprietaria di un immobile di pregio (categoria catastale A/8) con ampio terreno pertinenziale, destinato a diventare resort di lusso. Nell’anno oggetto di accertamento, tuttavia, l’immobile, disabitato da tempo, versava in cattive condizioni per cui negli anni successivi era stata intrapresa una importante opera di ristrutturazione.
Ciò nonostante - forse perché la società non aveva riportato in bilancio il fabbricato tra le «immobilizzazioni in corso» ma tra quelle ordinarie – l’ufficio aveva utilizzato il relativo costo applicando la disciplina delle società «non operative» di cui all’articolo 30 della legge 724/1994, determinando un reddito imponibile ampiamente superiore a quello dichiarato.
La società si è opposta a tale accertamento, ricordando che sia l’amministrazione finanziaria (circolare 48/E/1997 e 25/E/2007) sia la Corte di cassazione (sentenza 19367/2018) hanno riconosciuto che gli immobili che si trovano in una fase non idonea a produrre alcun tipo di provento non possono essere inclusi nei calcoli di profittabilità e redditività previsti dalla disciplina delle cosiddette «società di comodo».
Con la circolare 5/E/2007 l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto che le società che dispongono di questi beni sono esonerate dall’onere di presentare l’istanza di disapplicazione alla competente direzione regionale, essendo la situazione del tutto oggettiva e documentabile.
Secondo la successiva circolare 44/E/2007 «la circostanza che la società sia proprietaria di un complesso immobiliare caratterizzato dalla presenza di alcuni beni immobili non produttivi di reddito, in quanto inagibili e non ancora ristrutturati, induce a ritenere che i valori dei relativi asset non debbano essere presi in considerazione per la determinazione dei ricavi presunti ai sensi dell’articolo 30 della legge 724 del 1994». Anche perché è evidente il motivo per cui questi cespiti sono improduttivi di ricavi e, conseguentemente, di un reddito imponibile.
Probabilmente in questo caso il contenzioso è sorto per la non corretta collocazione in bilancio dell’immobile, ma va ricordato che così come l’Agenzia non è vincolata al dato contabile nel caso in cui esso si manifesti in violazione dei principi contabili di riferimento (per tutte, di vedano le pronunce di Cassazione n. 20122/2018 e 26824/2014 e la sentenza della Ctr Lombardia 4267/01/2019), allo stesso modo l’appostazione in bilancio non può – nel caso si riveli errata – essere utilizzata contro il contribuente, facendola prevalere sulla realtà dei fatti.

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