L’imposta sostitutiva di rivalutazione del terreno non è rimborsabile
L’imposta sostitutiva sulla rideterminazione dei valori di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola non è rimborsabile. Lo ha ribadito la Cassazione, con l’ordinanza 31099/2019.
In particolare, è stato stabilito che l’imposta sostitutiva in esame ex articolo 7 della legge 448/2001 è un’imposta volontaria, in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata; in cambio, l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale.
L’opzione fiscale in oggetto non rientra tra le dichiarazioni di scienza suscettibili di essere corrette in caso di errore, bensì tra le manifestazioni di volontà irretrattabili (salvo il caso di errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’articolo 1428 del Codice civile), per le quali non sono ravvisabili i presupposti per il ricorso alla procedura del rimborso prevista dall’articolo 38 del Dpr 602/1973, non essendo configurabile un errore materiale (obiettivamente riconoscibile ed essenziale), bensì una scelta discrezionale compiuta dal contribuente, e non ricorrendo un’ipotesi di duplicazione o inesistenza dell’obbligazione.
Alle stesse conclusioni, peraltro, è giunta qualche tempo fa la Cassazione in merito alla rivalutazione delle partecipazioni: in particolare, è stato stabilito che la scelta del contribuente di optare, attraverso la perizia giurata di stima e il versamento anche solo della prima rata dell’imposta sostitutiva, per la rideterminazione del costo o valore di acquisto delle partecipazioni costituisce atto unilaterale dichiarativo di volontà, che, giunto a conoscenza del destinatario, ovvero dell’Amministrazione finanziaria, attraverso il detto pagamento dell’imposta sostitutiva, comporta di per sé quale suo effetto la rideterminazione del valore della partecipazione, e, pertanto, in base ai principi generali di cui agli articoli 1324 e 1334 del Codice civile e seguenti, non può essere revocato per scelta unilaterale del contribuente; non ha pregio, pertanto, la tesi per cui un comportamento meramente omissivo, quale il mancato pagamento di un importo autoliquidato, valga quale comportamento concludente atto a revocare e cancellare retroattivamente l’adesione alla duplice agevolazione fiscale, costituita dalla scelta di versare l’imposta sostitutiva e di rateizzarla (Cassazione 21049/2018).
Proprio recentemente, tuttavia, i giudici di legittimità hanno altresì stabilito che il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione della partecipazione, con conseguente versamento dell’imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale partecipazione, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto a usufruire del rimborso, stante il generale principio del divieto di doppia imposizione, in misura non superiore a quanto dovuto, in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata, fino alla concorrenza dei due importi; deve, dunque, essere escluso il rimborso in misura superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione di valore della partecipazione sociale effettuata (Cassazione 22212/2019).
In conclusione, da quando sopra si evince che la scelta del contribuente di operare la rivalutazione non è ritrattabile e, pertanto, una volta che l’imposta sostitutiva di rivalutazione del terreno o della partecipazione sia stata versata, non è rimborsabile, ad eccezione dell’ipotesi in cui il contribuente proceda a una seconda rivalutazione, nel qual caso spetta il rimborso nei limiti poc’anzi indicati.