Contabilità

L’indice di elasticità aziendale per arginare l’aumento dei costi

La crisi energetica impone una ponderata rivisitazione degli obiettivi di attività. Da monitorare il rapporto rispetto ai ricavi di oneri fissi e variabili

di Franco Roscini Vitali

Il periodo che stiamo vivendo, tra inflazione e aumenti dei costi delle materie prime, impone alle imprese una rivisitazione degli obiettivi, operazione che richiede anche un’attenta analisi dei costi e delle correlate prospettive future riferite all’andamento dei ricavi. Inoltre, alcune imprese possono aver stipulato in precedenza contratti di vendita a prezzo fisso che comportano una perdita perché l’aumento dei costi di acquisto delle materie prime è superiore ai ricavi: in questi casi il bilancio 2022 deve tenerne conto mediante la rilevazione di un accantonamento al Fondo per contratti onerosi come prevedono, in base ai principi generali, codice civile e principi contabili (Oic 31).

Per esempio, contratto di vendita stipulato a 100 quando i costi delle materie prime erano 90, successivamente aumentati a 110.

Se l’impresa può recedere dal contratto dovrà contabilizzare, se del caso, la penale o il risarcimento del danno.

L’analisi dei costi

Passando all’analisi dei costi, dovrebbe essere fatta una suddivisione degli stessi tra “fissi” e “variabili”: i primi si mantengono stabili, quantomeno entro determinati limiti, in caso di aumento o diminuzione dei ricavi, mentre quelli variabili sono legati all’andamento dei ricavi stessi.

In ogni caso, l’analisi dei costi, in particolare di quelli variabili, deve tenere conto della variabile riferita ai “ricavi”.

In via generale, esempi di costi fissi sono lavoro indiretto, ammortamenti, costi generali e costi industriali: questi restano fissi, entro certi limiti, indipendentemente dal volume dei ricavi.

I costi variabili, invece, sono quelli relativi a materiali, lavoro diretto, lavorazioni di terzi, trasporti, energia elettrica, gas: questi costi dipendono direttamente dall’ammontare dei ricavi.

Ogni impresa ha una composizione di costi diversa da un’altra: in alcune prevalgono i costi fissi, mentre in altre quelli variabili, con effetti diversi nel caso di incremento/diminuzione dei ricavi.

Pertanto la risposta dell’impresa all’aumento dei costi in rapporto all’andamento dei ricavi può essere diversa a seconda della composizione degli stessi e ovviamente della possibilità di riflettere l’aumento sui ricavi, ovvero sulla clientela.

Per completezza si deve anche tenere conto che la suddivisione dei costi tra fissi e variabili non é sempre netta perché ci sono alcuni costi che si possono definire “semivariabili” o “misti” in quanto possono variare entro certi limiti e non proporzionalmente e direttamente al variare della produzione: questo può accadere in presenza di elevati incrementi della stessa (potrebbe essere il caso dell’energia il cui costo ha alcune componenti fisse). In questi casi, se l’effetto è rilevante, potrebbe essere necessario suddividere le due componenti che compongono il costo.

Un’impresa con una composizione di costi nella quale prevalgono quelli variabili risponde in modo differente alla variazione dei ricavi rispetto a un’altra nella quale prevalgono i costi fissi: quest’ultima è avvantaggiata maggiormente all’aumentare dei ricavi, perché riesce a “spalmare” meglio i suoi costi fissi, mentre è penalizzata in caso di diminuzione degli stessi, perché non riesce a ridurre parimenti i costi (fissi).

Indice di elasticità aziendale

Questo concetto si traduce nell’indice di “elasticità aziendale”, dato dal rapporto costi variabili/costi fissi calcolati in rapporto ai ricavi.

Il rapporto esprime numericamente il comportamento e la flessibilità dell’impresa al variare dei ricavi: nei periodi di crisi e nel caso di flessione dei ricavi è tanto più vantaggioso quanto più si discosta dall’unità.

Tre esempi di imprese diversamente strutturate aiutano a comprendere il concetto: si veda il box nel quale si è ipotizzato che la somma costi variabili (CV) e costi fissi (CF) porti sempre ad un totale di 95, variando soltanto la composizione; pertanto, il reddito operativo è pari a 5 che, ovviamente, non tiene conto della componente finanziaria e neppure delle imposte, leggasi Irap (così anche delle componenti non ricorrenti).

Dagli esempi risulta evidente che l’impresa 1), nel caso di diminuzione dei ricavi, è avvantaggiata rispetto alle altre due, potendo più facilmente diminuire i ricavi e risparmiare così dalla contrazione dei costi variabili. L’impresa 3) è la più svantaggiata perché, avendo maggiori costi fissi, al diminuire dei ricavi ha un risparmio di costi variabili contenuto: discorso inverso, come già evidenziato, nel caso di incremento dei ricavi.

Estremizzando, l’impresa che ha soltanto costi variabili potrebbe non lavorare senza perdere, mentre un’altra che ha tutti costi fissi è obbligata ad avere ricavi, pena una perdita pari agli interi costi non assorbiti.

Queste considerazioni, qui ovviamente semplificate, se adattate alle singole diverse realtà aziendali, possono aiutare nelle scelte operative dell’impresa: così nei rapporti con fornitori, clienti e nelle strategie operative e commerciali.

Per completezza, una volta individuata la composizione dei costi, anche in percentuale sui ricavi, si può determinare il punto di pareggio dell’impresa applicando semplici formule matematiche anche con l’utilizzo di un foglio excel.

Infine, si può determinare il “margine di sicurezza” che è il limite nel quale possono diminuire i ricavi senza che l’impresa “perda”, dato dalla differenza tra ricavi e punto di pareggio.

GLI ESEMPI

Tre esempi di imprese per le quali si ipotizza che la somma costi variabili (CV) e costi fissi (CF) porti sempre a un totale di 95

Azienda 1

•Costi variabili: 78

•Costi fissi: 17

•Rapporto: 4,6

Azienda 2

•Costi variabili: 50

•Costi fissi: 45

•Rapporto: 1,1

Azienda 3

•Costi variabili: 30

•Costi fissi: 65

•Rapporto: 0,46

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