L’invio del questionario non rappresenta un contraddittorio
La preventiva richiesta documentale inviata dall’ufficio con questionario, cui abbia fatto seguito la produzione dei dati richiesti da parte del contribuente, non è da considerarsi equipollente al contraddittorio in quanto non viene data alla società contribuente la possibilità di spiegare, prima dell’emissione dell’avviso, le ragioni in fatto che hanno condotto all’evidenziata incongruità dello studio di settore considerato. Questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza 3185/22/2019 della Ctr Lombardia .
Il caso
La vicenda esaminata dai giudici tributari milanesi nasceva proprio da un’attività istruttoria dell’Ufficio che effettuava un controllo sulla dichiarazione della società ricorrente, svolgente attività di «bar e altri esercizi simili senza cucina», e invitava con questionario la stessa a produrre documentazione, richiesta che veniva ottemperata dalla contribuente. Procedendo a una ricostruzione analitico-induttiva del reddito, l’amministrazione finanziaria riteneva che la società operasse con redditività troppo bassa e con percentuali di ricarico inferiori alla media del settore, verificati i risultati emergenti dagli studi di settore (vendita caffè e altri prodotti da bar). I giudici di primo grado accoglievano il ritenendo assorbente il profilo dedotto circa l’assenza di un previo contraddittorio procedimentale.
La decisione
La Ctr Lombardia decide di confermare la sentenza di primo grado con ulteriori argomentazioni a supporto della necessità del contraddittorio endoprocedimentale; in particolare i giudici regionali, dopo aver richiamato l’orientamento della Suprema corte in tema di accertamenti standardizzati, si soffermano sull’istruttoria tramite questionario, cui ha fatto seguito l’invio della documentazione richiesta da parte della società ricorrente, che non può ritenersi un equipollente del contraddittorio dato che non è stata data alla società contribuente la possibilità di spiegare, prima dell’emissione dell’avviso, le ragioni in fatto che hanno condotto all’evidenziata incongruità dello studio considerato. Per quanto concerne poi il consistente “volume” della documentazione contabile richiesta il collegio aggiunge che, in tale ipotesi, si procede ad una sorta di vera e propria verifica fiscale nei confronti del contribuente, attività questa che richiederebbe il rispetto dello statuto del contribuente in punto di contraddittorio preventivo. A ulteriore conferma della necessità del contraddittorio preventivo i giudici, nella parte conclusiva delle motivazione, osservano come la contribuente avesse dimostrato in giudizio che il cluster relativo alle imprese che esercitano l’attività di «bar e caffè» utilizzato dall’Ufficio non risultasse corretto rispetto all’attività prevalente svolta dalla società (gelateria e pasticceria) che trovava, invece, il suo inserimento in altro cluster. Questo elemento, chiosa il collegio, se fosse stato espletato il contraddittorio preventivo, avrebbe certamente consentito una diversa valutazione del reddito dichiarato.
Il dibattito giurisprudenziale
Continua ad essere al centro dell’attenzione il dibattito giurisprudenziale sull’obbligatorietà del contraddittorio preventivo prima di emettere l’atto impositivo sia con riferimento alle modalità con cui viene condotta l’attività accertativa (verifica in loco o a tavolino) che al tipo di imposta accertata, armonizzata o non armonizzata (si veda anche Sole 24 Ore del 14 novembre 2017 e Quotidiano del Fisco del 17 aprile 2019 e del 15 marzo 2019). Contrasto giurisprudenziale verso cui il legislatore si è mostrato sensibile tanto da intervenire recentemente, allo scopo di dare maggiore chiarezza, prevedendo un obbligo generalizzato di contraddittorio (articolo 4-octies, comma 1, lettera b, del Dl 34/2019), introducendo l’art. 5-ter al Dlgs 218/1997, secondo il quale «l’ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l’invito a comparire di cui all’articolo 5 per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento».
Gli accertamenti standardizzati
Per quanto concerne poi gli accertamenti «standardizzati» in seno alla Cassazione si è formato nel tempo un orientamento consolidato (come ricordato anche dalla sentenza qui commentata) in base al quale «la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati ( meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività) ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente» (ex multis Cassazione 21754/2017, 9484/2017, 14288/2016, 17646/2014, 27822/2013, Sezioni Unite 26635/2009).