La dichiarazione di successione può essere rettificata in qualsiasi momento
In materia di imposta di successione il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere anche dopo la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione. È quanto ribadito dalla sesta sezione civile-T della Corte di cassazione con sentenza del 24 aprile 2015, n. 8419.
La vicenda giudiziaria riguarda l'impugnazione da parte di un contribuente di un avviso di liquidazione concernente l'imposta di successione del genitore.
La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso con sentenza che veniva riformata in sede di appello. In particolare, i Giudici di secondo grado ritenevano che alcuni cespiti ereditari, sebbene inseriti nella dichiarazione di successione presentata da un altro erede come beni appartenenti al defunto anche se formalmente intestati al contribuente, non dovevano essere ricompresi nell'asse ereditario, come fittiziamente sostenuto dal Tribunale civile nella causa di riduzione ereditaria pendente tra gli stessi eredi. Ciò in quanto il Tribunale si era pronunciato con una sentenza di accertamento non definitiva che era stata peraltro oggetto di riserva di appello e che, quindi, non poteva ritenersi esecutiva.
Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate al fine di far valere anche la violazione degli articoli 27, comma 2, (procedimento e termini) e 33, comma 1, (liquidazione dell'imposta in base alla dichiarazione) del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (“Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni”). L'Agenzia sosteneva la legittimità dell'avviso di liquidazione impugnato, evidenziando che lo stesso era fondato sulla prima dichiarazione di successione (e quindi non sulla dichiarazione sostitutiva presentata dalla contribuente successivamente all'invio dell'atto tributario), nonché sulla predetta sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il defunto proprietario dei cespiti patrimoniali in contestazione. Resistevano con controricorso il contribuente e gli altri eredi.
L'articolo 31 del decreto legislativo n. 346 del 1990, concernente il termine per la presentazione della dichiarazione di successione, stabilisce che “La dichiarazione deve essere presentata entro dodici mesi dalla data di apertura della successione” (comma 1) e che “Fino alla scadenza del termine la dichiarazione della successione può essere modificata…” (comma 3).
Il citato articolo 27, comma 2, del decreto legislativo n. 346 del 1990 prevede che “l'ufficio, se ritiene che la dichiarazione, o la dichiarazione sostitutiva o integrativa, sia incompleta o infedele… procede alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta... La rettifica deve essere notificata, mediante avviso, entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell'imposta principale”. Inoltre, il citato articolo 33, comma 1, del decreto legislativo n. 346 del 1990 prevede che “L'ufficio del registro liquida l'imposta in base alla dichiarazione della successione, anche se presentata dopo la scadenza del relativo termine ma prima che sia stato notificato l'accertamento d'ufficio, tenendo conto delle dichiarazioni integrative o modificative già presentate…”.
Con l'ordinanza n. 8419 del 2015, la Cassazione ha ribadito l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di imposta di successione, il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere, contenuti nella dichiarazione, anche dopo la scadenza del termine per la relativa presentazione (considerato che tale termine non ha natura decadenziale) “… salva l'applicazione delle sanzioni… e con effetti diversi, a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell'avviso di liquidazione della maggiore imposta, ovvero successivamente alla stessa”.
Più precisamente, se la rettifica viene fatta prima della notificazione dell'avviso di liquidazione, l'Ufficio deve prendere in considerazione tale correzione ed eventualmente esercitare il potere di accertamento mediante l'invio di un futuro avviso di liquidazione.
Invece, se la rettifica viene fatta dopo la notificazione e della stessa l'Ufficio non tiene conto (come è avvenuto nel caso di specie), il contribuente deve dimostrare in sede contenziosa l'esattezza della correzione effettuata. Sarà poi il Giudice tributario a valutare la legittimità della pretesa tributaria ed eventualmente a rideterminarla, in via sostitutiva, in considerazione di quanto sostenuto dalle parti in sede processuali.
In tal senso si veda la Cassazione, sentenza 10 maggio 2013, n. 11192, ove si chiarisce altresì che “L'emendabilità, da parte del contribuente, degli errori, anche non meramente materiali o di calcolo, contenuti in dichiarazioni… deve essere riconosciuta quale espressione di un principio generale del sistema tributario, atteso che la dichiarazione non ha valore confessorio, ne' costituisce fonte dell'obbligazione tributaria… ed alla luce dei principi costituzionali di capacità contributiva e di buona amministrazione… nonché del principio… della collaborazione e della buona fede, che deve improntare i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria” e Cass., 31 gennaio 2013, n. 2366.
Orbene, considerato che, nel caso di specie, la sentenza impugnata risulta correttamente motivata in punto di diritto, la Cassazione ha rigettato il ricorso, compensando le spese di lite.