Controlli e liti

La prima rata non chiude il contenzioso

di Luigi Lovecchio

Il pagamento della prima rata di luglio non consente di chiudere eventuali procedimenti contenziosi, aventi ad oggetto i carichi rottamati. Allo scopo, occorre il perfezionamento della procedura che si ottiene solo con il pagamento tempestivo e integrale degli importi liquidati.

Sulle relazioni tra rottamazione e contenzioso sussistono molte incertezze tra gli operatori e i giudici, nonostante i condivisibili chiarimenti forniti dalle Entrate nella circolare numero 2/2017. Come previsto nell’articolo 6, Dl 193/16, nell’istanza di definizione va barrata la casella relativa all’impegno a rinunciare ai giudizi in corso. Al riguardo, vale evidenziare che con tale barratura non si rinuncia subito all’azione giudiziaria ma si assume un impegno. Si tratta di stabilire quando tale impegno diviene precettivo. Per rispondere a l quesito, occorre considerare che la definizione agevolata non ha la finalità di deflazionare il contenzioso in corso. Prova ne è la totale assenza di disposizioni in materia di liti pendenti.

Scopo unico della procedura agevolata è quello di giungere ad una sistemazione delle pendenze con Equitalia (oggi Ader) a condizioni vantaggiose per i debitori, cercando di “fare cassa”. Tale sistemazione si ottiene solo con il versamento tempestivo degli importi dovuti. Ne consegue che non appare conforme né alla lettera né tantomeno alla ratio della legge imporre una rinuncia preventiva all’azione, a prescindere dal buon esito della procedura di sanatoria. Se così fosse si attribuirebbe alla norma una funzione deflattiva che non ha e non può avere. Al contrario: l’impegno alla rinuncia si apprezza solo come un effetto pressocchè necessario del perfezionamento della definizione agevolata. In conseguenza di esso, il debito verso l’agente della riscossione si consolida e si esaurisce, di tal che vengono meno tutte le ragioni del contendere. Fino a quando non si consegue la definizione agevolata del debito, il suddetto impegno resta inefficace e i giudizi in corso proseguono.

Le considerazioni che precedono sono utili a chiarire lo strumento processuale con il quale deve essere formalizzato l’impegno alla rinuncia. Poiché l’abbandono del giudizio è un effetto della avvenuta definizione del debito in lite, la rinuncia non può che risolversi in una cessazione della materia del contendere. Così è orientata la prassi amministrativa, allorquando si afferma (circolare numero 2) che ai fini della definizione non è neppure necessaria la barratura dell’impegno alla rinuncia, poiché la chiusura della lite si atteggia come una conseguenza legale dell’estinzione della debitoria. Da ciò è possibile desumere un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, che la cessazione della materia del contendere è rivolta nei confronti di chiunque sia la controparte processuale, anche se essa è un soggetto diverso dall’agente della riscossione. Si tratta di circostanza di carattere oggettivo che, in quanto tale, può essere sollevata anche dal Fisco, in caso di inerzia del contribuente.

Inoltre, dall’impostazione che precede deriva la naturale compensazione delle spese di lite, secondo il modello delineato nell’articolo 46, Dlgs 546/92.

Come già segnalato, nella disciplina di legge non è rinvenibile alcuna norma di regolazione dei giudizi in corso. Ne consegue che se l’udienza viene fissata non è possibile chiedere la sospensione del procedimento.

È possibile richiedere il rinvio della trattazione, dimostrando che è in corso la definizione agevolata con l’allegazione della ricevuta di pagamento di fine luglio. Le Entrate hanno sollecitato gli uffici periferici a non opporsi a tale richiesta.

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