Le operazioni con soggetti diversi escludono il carattere fittizio della società estera
Per la Cgt Genova è determinante valutare se la società estera operi anche con soggetti diversi rispetto al presunto titolare effettivo del reddito
Nel determinare il carattere fittizio di una società residente all’estero – ai fini dell’imputazione dei redditi da questa conseguita al soggetto residente ritenuto l’effettivo possessore - è determinante valutare se la società estera operi anche con soggetti diversi rispetto al presunto titolare effettivo del reddito.
Pertanto la fittizietà del soggetto non residente può essere esclusa qualora lo stesso abbia effettuato attività (nello specifico di intermediazione) anche con soggetti economici diversi rispetto al presunto titolare per interposta persona e gli scambi commerciali tra le parti siano di ammontare marginale rispetto alla globalità degli scambi posti in essere dalla società residente.
È quanto emerge dalla sentenza 1063/1/2022 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, che ha annullato l’avviso di accertamento con cui l’agenzia delle Entrate imputava ad una società residente tutte le operazioni effettuate da una società di intermediazione residente in Gran Bretagna, ritenendo la stessa un «soggetto privo di struttura sostanziale», che non svolgeva reale attività di mediatore/trader, non indipendente rispetto alla società verificata, bensì «strumento utilizzato al solo fine di compiere operazioni atte a erodere la propria base imponibile in Italia».
La vicenda
La sentenza origina da un controllo effettuato presso i magazzini della società residente, che si avvaleva di un soggetto non residente quale intermediario per la compravendita di caffè. Dalla lettura della sentenza (in realtà alquanto stringata) non emergono rapporti partecipativi tra le due società, che sembrerebbero quindi far capo a soci differenti. Si tratta di un aspetto che, comunque, non viene valorizzato nelle conclusioni della Corte e che al contrario avrebbe meritato un approfondimento.
Dalla verifica di magazzino emergeva che la maggior parte della merce compravenduta dalle due società risultava depositata in un magazzino ubicato in Italia. Inoltre, i dati economici e patrimoniali del soggetto estero erano ritenuti «inconsistenti» rispetto alle transazioni effettuate con la casa madre e, pertanto, la società britannica veniva qualificata quale soggetto di fatto non operante e strumentale all’operatività della società ricorrente, con conseguente imputazione a quest’ultima delle operazioni effettuate dal soggetto ritenuto interposto; a supporto delle conclusioni dell’Ufficio veniva evidenziato come il ruolo di amministratori fosse ricoperto da soggetti «professionali», ovvero aventi cariche temporanee in numerose altre società, che di fatti rispondevano agli amministratori del soggetto residente.
L’interposizione fittizia
Benché dalla sentenza non emerga lo strumento giuridico con cui le Entrate imputavano i redditi al soggetto italiano, si deve ritenere che l’accertamento fosse basato sul concetto di interposizione fittizia (articolo 37 del Dpr 600/73), in base al quale «in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona». Nello specifico, le presunzioni «gravi, precise e concordanti» si basavano, evidentemente, sull’inadeguatezza della struttura operativa del soggetto estero e sull’assenza di reale potere decisionale dei propri amministratori.
L’operatività
La difesa della società accertata si basava prevalentemente sulla circostanza che la società inglese fosse un soggetto autonomo che operava con molti altri soggetti economici, evidenziando altresì che gli scambi commerciali intervenuti tra le due società apparivano scarsamente rilevanti rispetto ai volumi totali commercializzati dalla società italiana.
Tale circostanza è stata ritenuta dirimente da parte dei giudici di Genova, al fine di ritenere effettivamente esistente e operativa la società britannica, mettendo in secondo piano le ulteriori incongruenze riscontrate dall’Ufficio.