Le spese per l’amministratore giudiziario sono a carico della società
In caso di revoca del sequestro del capitale sociale e dei beni aziendali, le spese di gestione, compreso il compenso dell’organo amministrativo, gravano sulla società e non sono rimborsabili dopo il dissequestro dell’impresa. La Cassazione ( sentenza 24663) respinge il ricorso del socio unico di una Società a responsabilità limitata sottoposta a misura di prevenzione patrimoniale, poi revocata dopo il rigetto dell’istanza di confisca. A carico dell’Erario erano andati i compensi all’amministratore giudiziario il ruolo di controllo e garanzia della legalità, svolto durante la procedura che si era conclusa in favore del ricorrente. Mentre “sul “conto” dell’imprenditore erano stati “segnati” poco meno di 400 mila euro pari all’ammontare dei compensi percepiti dall’amministratore giudiziario e dal suo coadiutore, questa volta, nella loro qualità di autonominati componenti del consiglio di amministrazione della Srl, rispettivamente presidente e consigliere. In questo caso si trattava, infatti, di «spese necessarie per la prosecuzione dell’impresa, dalla quale per legge devono essere allontanati il proposto, gli intervenienti e i loro familiari». Une decisione contestata dal ricorrente, secondo il quale l’investitura, da parte del Tribunale, dell’amministratore giudiziario e del suo “collaboratore” in un Cda del tutto privo di poteri e inattivo per sei anni, si traduceva solo nell’inutile duplicazione delle spese, in un’azienda gestita dall’amministratore giudiziario. Per la Cassazione però, il doppio binario fa sì che i costi di remunerazione dell’organo amministrativo finiscano tra le spese di gestione perché consentono la prosecuzione dell’attività e l’utile di impresa, e non siano dunque “rimborsabili “ nell’ipotesi di restituzione dell’azienda.
L’amministratore giudiziale si affianca, infatti, e non si sostituisce all’organo amministrativo. Da una parte c’è la custodia statica riconosciuta all’amministratore giudiziario, dall’altra la gestione dinamica dell’impresa per la sua permanenza sul mercato. Una lettura coerente con le modifiche apportate al codice antimafia con la legge 205/2017, finalizzate al mantenimento della produttività aziendale e alla conservazione della forza lavoro.
Il nuovo codice coniuga la legalità dell’impresa mafiosa con la sua conservazione sul mercato e il mantenimento dei livelli occupazionali, in una «visione macroeconomica di sistema che privilegia l’iniziativa economica e l’utile sociale». In questo quadro, nessuna norma impedisce alla società sotto sequestro di avvalersi degli organi previsti dalla legge e dallo statuto secondo «valutazioni di funzionalità rimesse all’approvazione del giudice delegato». Restando dunque ferma la possibilità, per chiunque abbia interesse, amministratore estromesso compreso, di fare opposizione al Tribunale della prevenzione contro i provvedimenti. Ma, nel caso esaminato, il socio unico non si era opposto in nome di un interesse meritevole di tutela, come é la protezione dell’utile di esercizio rispetto a costi ingiustificati o abnormi.
Cassazione, sentenza 24663/2018