Legittima la deduzione fiscale dell’indennità suppletiva di clientela operata nel 2004
L’indennità suppletiva di clientela spettante agli agenti di commercio, anche se non più prevista, è sempre deducibile per competenza nella determinazione del reddito d’impresa per la mandante che ha continuato ad accantonarla distintamente rispetto all’indennità di risoluzione del mandato di agenzia.
Intanto la riforma dell’articolo 1751 del Codice civile ha superato il sistema previgente prevedendo un’unica indennità di cessazione del rapporto di agenzia in sostituzione delle due precedenti, l’indennità di risoluzione e l’indennità suppletiva di clientela.
Poi, a seguito delle modifiche introdotte dalla novella, la disciplina fiscale dell’articolo 70 del Tuir (ora articolo 105, comma 1), che già consentiva la deducibilità dell’indennità di cessazione dei rapporti di agenzia delle persone fisiche, trova ora applicazione indistinta all’intera disciplina del fine rapporto dei mandati di agenzia. Così la Cassazione con sentenza 18474-2017 (Presidente Bielli, Rel. Luciotti) del 26 luglio 2017.
L’indennità suppletiva di clientela ha natura risarcitoria, remunera gli agenti di commercio in caso di improvvisa cessazione del contratto di agenzia ad opera della mandante e può essere accantonata distintamente rispetto all’indennità di risoluzione del mandato, dovuta in ogni caso dalla mandante all’atto dello scioglimento del rapporto per qualsiasi causa.
Una società per azioni, sulla base delle risultanze di una verifica fiscale, viene accertata dall’Amministrazione per l’anno 2004, che riprende a tassazione gli accantonamenti dedotti, nella determinazione del reddito d’impresa, per l’indennità suppletiva di clientela. La società si oppone ante la Ctp. La quota di indennità suppletiva di clientela accantonata è sempre deducibile fiscalmente nell’esercizio di competenza civilistica e non in quello di corresponsione all’agente in quanto, anche se il Tuir dispone la deducibilità per le indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia delle persone fisiche, non esclude espressamente dalla deducibilità le ulteriori indennità erogate in base all’articolo 1751 del Codice civile. L’Amministrazione resiste ed insiste per la fondatezza della pretesa. Il giudice di primo grado accoglie il ricorso costringendo l’Amministrazione ad andare in appello.
A seguito della riforma della sentenza la contribuente propone ricorso per Cassazione e la Corte cassa con rinvio la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) a seguito del recepimento della Direttiva 86/653/CEE il legislatore, attraverso la riforma dell’articolo 1751 del Codice civile, ha determinato il superamento della dualità del sistema previgente ed ha previsto un’unica indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia rispetto alla precedente duplice indennità: quella di risoluzione, spettante in ogni caso e quella suppletiva di clientela, legata a profili meritocratici;
b) la disciplina fiscale dell’articolo 70 del Tuir (ora articolo 105) prevede nella determinazione del reddito d’impresa la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in base alle disposizioni legislative e contrattuali ed estende tale regime agli accantonamenti per le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche. A seguito del recepimento della Direttiva 86/653/CEE, avvenuto con il Dlgs 303/1991 vigente dal 1° gennaio 1993, che ha novellato l’articolo 1751 del Codice civile, essendo venuta meno la distinzione fra indennità di risoluzione, di origine civilistica ed obbligatoria ed indennità suppletiva di clientela, la norma fiscale trova ora applicazione indistinta all’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto.
Nel caso esaminato, conclude la Corte, deve dunque ritenersi legittima la deduzione fiscale dell’indennità suppletiva di clientela operata dalla contribuente in base al principio di competenza nell’anno 2004.
Cassazione, sezione tributaria, sentenza 18474 del 26 luglio 2017