Legittimo ricostruire i ricavi del ristorante in base al numero dei tovaglioli utilizzati
Nell’ambito dell’accertamento presuntivo del reddito, in base al comma 1, lettera d) dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente usuale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente usufruisca di un solo tovagliolo e rappresentando pertanto, il numero di questi, un fatto noto idoneo anche di per sè solo a lasciare ragionevolmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati, pur dovendosi razionalmente sottrarre dal totale una certa percentuale di tovaglioli normalmente utilizzati per le evenienze più varie per le quali ciascun cliente può essere indotto a utilizzare più tovaglioli. Detto criterio, unitamente con la determinazione del prezzo medio applicabile a ciascun pasto desunto dalle fatture e dalle ricevute emesse, consente peraltro di mantenere l’accertamento ancorato alla specifica realtà aziendale piuttosto che a parametri di riferimento esterni. A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione attraverso la sentenza 8822/2019.
Le modalità di controllo dei titolari di redditi di impresa, nella ricostruzione effettuata dalla Guardia di Finanza nella circolare 1/2018, si incentrano sul principio della preliminare analisi dei dati contabili al fine di rideterminare, qualora necessario, la corretta base imponibile anche attraverso l’utilizzo di metodi presuntivi quali il metodo analitico induttivo di cui all’articolo0 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973. La menzionata tipologia di accertamento si caratterizza per una sorta di applicazione in deroga della rettifica fondata esclusivamente sulle scritture contabili e sulla loro riqualificazione e la circolare osserva come, al ricorrere di dati requisiti, sia consentito di non tenere conto, in tutto o in parte, delle risultanze delle scritture contabili medesime, utilizzando pertanto elementi acquisiti con modalità alternative senza la necessità di dover sancire l’inattendibilità dell’intero impianto contabile. È tuttavia necessaria una preventiva ispezione delle scritture, intendendo come la valutazione delle stesse e la loro rielaborazione possa dunque condurre alla rettifica indiretta della base imponibile.
Risulta indubbiamente compito dell’Ufficio fornire in giudizio la prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della pretesa avanzata con l’atto impositivo, in relazione al disposto di cui all’articolo 2697, Codice civile, in quanto l’onere della prova afferisce ai fatti e le presunzioni incidono nel giudizio sul fatto medesimo.
Il concetto di presunzione nel diritto tributario non possiede una connotazione propria e occorre pertanto riferirsi a quanto disposto dalla disciplina civilistica mediante gli articoli 2727, 2728 e 2729 del Codice civile.
L’articolo 2727 si fa carico di stabilire la definizione di presunzione che va intesa come la connessione tra il fatto noto e il fatto ignorato ossia, nel caso delle presunzioni semplici, il ragionamento compiuto dal giudice per risalire dal primo al secondo.
La sussistenza di una presunzione semplice è lasciata «alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti», l’inferenza su cui la stessa si fonda deve essere provata in giudizio e il correlato onere grava su colui che intende trarne vantaggio il quale ha, per tale motivo, l’onere di dimostrare che il nesso inferenziale tra fatto noto e fatto ignorato riveste i caratteri di gravità, precisione e concordanza. In presenza di presunzioni semplici, pertanto, trova attuazione la regola ordinaria caratterizzante la relazione tributaria, in forza della quale l’onere probatorio dei fatti costitutivi posti a fondamento della pretesa incombe sull’Ufficio.
In definitiva, si può pertanto affermare di essere al cospetto di presunzioni semplici quando si manifestano un insieme di elementi presuntivi che conducono alla sussistenza di un elevato grado di probabilità circa la correttezza del ragionamento presuntivo e, di conseguenza, a un dato sufficientemente plausibile il quale, se risulta correttamente formato e provato in giudizio, possiede la medesima rilevanza di una presunzione legale relativa, determinando l’inversione dell’onere della prova contraria in capo al contribuente.
Cassazione, V sezione civile, sentenza 8822 del 29 marzo 2019