Reati tributari, messa alla prova anche senza estinzione del debito
Cassazione: il giudice non può pretendere in automatico il risarcimento del danno
Nei reati tributari l’ammissione alla messa alla prova non può essere automaticamente subordinata all’estinzione del debito tributario. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza n. 3179 depositata il 27 gennaio 2020.
Una contribuente era imputata per il reato di omessa presentazione della dichiarazione. Il tribunale disponeva l’ammissione al procedimento con messa alla prova (articolo 464 bis del Cpp) subordinandolo all’integrale pagamento del debito tributario quantificato dall’agente della riscossione.
Avverso tale decisione, ricorreva per Cassazione la contribuente, lamentando la previsione dell’estinzione del debito tributario quale condizione necessaria per accedere alla particolare procedura, senza peraltro aver acquisito il preventivo consenso dell’interessata.
La messa alla prova concerne la facoltà dell’imputato (o indagato) di ottenere la sospensione del processo e avviare un percorso di servizio ed eventuale risarcimento dei danni alla persona offesa, al termine del quale, in caso di esito positivo, il reato si estingue. Non è un modo di scontare la pena una volta intervenuta sentenza definitiva, ma una sorta di “rieducazione” preventiva che fa evitare il processo (e la eventuale condanna).
Nei procedimenti per reati non particolarmente gravi (pena edittale pecuniaria o detentiva non superiore nel massimo a 4 anni sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria), è possibile così chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. Detta sospensione è disposta quando il giudice reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. Il giudice, inoltre, anche sulla base delle informazioni acquisite può integrare o modificare il programma di trattamento, con il consenso dell’imputato.
In sostanza, la messa alla prova comporta: a) la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; b) ove possibile, il risarcimento del danno; c) l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma.
Nella vicenda oggetto della pronuncia, la Cassazione ha accolto il ricorso. Secondo i giudici di legittimità, poiché il testo della norma prevede, ai fini della messa alla prova, solo «ove possibile» il risarcimento, va esclusa la subordinazione dell’accesso alla procedura al ristoro del danno.
Nel caso di reati tributari, quindi, tale risarcimento è rappresentato dalla restituzione del debito erariale, con la conseguenza che il giudice non può pretendere automaticamente il pagamento per beneficiare dell’istituto.
I reati tributari attualmente interessati a questa speciale procedura, sono l’omesso versamento dell’Iva e delle ritenute, l’indebita compensazione di crediti non spettanti, la sottrazione fraudolenta per ammontari complessivi non superiori a 200mila euro.
Prima delle modifiche apportate dal decreto legge 124/2019, vi rientravano anche l’infedele e l’omessa presentazione della dichiarazione delle imposte dirette e dell’Iva, per le quali, quindi, sarà possibile beneficiare della messa in prova solo se commesse fino al 24 dicembre 2019.