Niente prelievo Irpef sull’indennizzo per ingiusta detenzione ed errore giudiziario
La risposta a interpello 295: gli istituti non hanno natura di risarcimento del danno, ma di semplice indennità per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale o ingiustamente condannato
Le somme erogate a seguito di pronunce di riparazione per ingiusta detenzione e per errore giudiziario non sono fiscalmente rilevanti ai fini Irpef per il soggetto che le percepisce. È il chiarimento fornito dalla risposta a interpello 295/2021.
Il quesito
Il caso analizzato dalle Entrate riguarda un’istanza pervenuta (presumibilmente da una cancelleria di un tribunale) con la quale è stato chiesto, tra l’altro, anche un parere in merito alla qualificazione e il conseguente regime fiscale applicabile alle somme liquidate a titolo di riparazione in relazione agli istituti per ingiusta detenzione e di riparazione per errore giudiziario, per la parte ed entro i limiti in cui le stesse siano state commisurate al lucro cessante, sempre che ne sia agevole e certa l’individuazione. In particolare il soggetto istante ritiene che le somme liquidate non siano fiscalmente rilevanti e che, conseguentemente, non debba applicarsi alcuna ritenuta fiscale.
La risposta delle Entrate
Preliminarmente, l’Agenzia ricorda che tali istituti sono rispettivamente disciplinati dagli articoli 314 e seguenti (ingiusta detenzione) e dagli articoli 643 e seguenti (riparazione per errore giudiziario) del Codice di procedura penale (Cpp).
Ad avviso delle Entrate, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale entrambi gli istituti non hanno natura di risarcimento del danno, ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale o ingiustamente condannato.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il criterio seguito dalla legge, diretto a escludere una tutela di tipo risarcitorio, risponde alla precisa finalità di garantire un adeguato ristoro alle persone che siano state ingiustamente condannate o private della libertà personale, senza costringerle a lunghe controversie sull’esistenza dell’elemento soggettivo e sulla determinazione dei danni.
L’agenzia delle Entrate ritiene che entrambi gli istituti non siano riconducibili all’ambito applicativo dell’articolo 6, comma 2, del Dpr 917/1986 (Tuir), secondo cui i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimenti di danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.
Di rilievo, osserva l’Agenzia, è il parere dell’Avvocatura generale dello Stato del 28 novembre 2005, n. 158901, in cui, con particolare riferimento all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, afferma che l’equa riparazione di cui all’articolo 314 del Cpp costituisce concetto del tutto divaricato dal risarcimento del danno, in quanto non mira alla refusione dei danni materiali intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, bensì, con il limite massimo normativamente previsto, alla corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, compensi l’interessato delle conseguenze penali, di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica dalla stessa custodia provocate.
Le stesse conclusioni, per l’Avvocatura, si applicano anche all’istituto della riparazione dell’errore giudiziario, posto che nonostante la possibilità che il giudice faccia ricorso anche a criteri risarcitori per la sua quantificazione, mantiene la connotazione complessiva di indennità.