Diritto

Crisi d’impresa, non è misura protettiva sospendere i pagamenti a Entrate e Inps

Tribunale di Catania: la sospensione dei debiti pregressi iscritti a ruolo o oggetto di invito bonario punta al blocco dell’esecuzione di prestazioni esigibili, che discendono da un obbligo di legge

di Giovanni Negri

La sospensione dei pagamenti dei debiti con Entrate e Inps non può essere annoverata tra le misure protettive che possono accompagnare la composizione negoziata della crisi d’impresa. Lo precisa il tribunale di Catania, Sezione specializzata in diritto d’impresa, con ordinanza del 14 giugno. Il provvedimento osserva innanzitutto che , correttamente intese, le misure protettive sono costituite da un “ombrello” temporaneo richiesto dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori posano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il successo delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza.

E allora, in questo contesto, bisogna mettere in evidenza come «la sospensione dei debiti pregressi iscritti a ruolo o oggetto di invito bonario nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps» non può essere considerata misura protettiva perché non è indirizzata a paralizzare , sia pure temporaneamente una qualsiasi iniziativa dei creditori, ma punta al blocco dell’esecuzione di prestazioni esigibili , che discendono da un obbligo di legge.

Di più, l’ordinanza sottolinea che , per ottenere le misure protettive, non è sufficiente all’imprenditore affermare la volontà di instaurare trattative con i creditori, nella loro totalità o solo con alcuni. Deve invece essere individuata una prognosi di successo, da fornire all’autorità giudiziaria anche in assenza di un vero e proprio piano di risanamento. L’imprenditore deve cioè indagare ed esporre il rapporto tra il debito che deve essere ristrutturato e l’ammontare annuo dei flussi al servizio del debito a regime che possono derivare dalle iniziative industriali in corso di attuazione o che l’imprenditore intende adottare.

A venire delineato è «un percorso formale e contenutistico volto a selezionare , secondo ben precisi indici, le modalità del risanamento e l’adeguatezza delle proposte da formulare ai creditori per la ristrutturazione del debito, contemperando le esigenze di continuità aziendale con le legittime pretese dei creditori e senza che le prime possano ingiustificatamente sacrificare le seconde».

Una chiarezza di obiettivi e di capacità di leggere la situazione in essere che, avverte l’ordinanza, è invece assente nel caso esaminato. Infatti , nel ricorso al Tribunale per ottenere le misure protettive non vengono esposte le ragioni che hanno condotto a un’esposizione assai rilevante nei confronti di fisco e previdenza, in tutto 79 milioni, di cui 63 nei confronti delle Entrate.

Le ragioni della crisi vengono piuttosto individuate, ricorso alla mano, nell’inadempimento di un contratto risolto però ormai 9 anni fa. Non si capisce così se la crisi è l’esito di uno o più eventi contingenti e non replicabili in futuro oppure da un deficit strutturale dell’attività d’impresa. Neppure è possibile comprendere il rapporto tra il debito tributario e contributivo e i flussi al servizio dello stesso, tali da renderlo sostenibile nel tempo. E la relazione dell’esperto nominato non è in grado di soccorrere, fornendo un quadro più preciso.

Impossibile allora per il Tribunale procedere alla sospensione dei pagamenti, anche nel caso questa dovesse essere interpretata piuttosto come misura cautelare mutuandone la fisionomia da quanto previsto dalla Legge fallimentare all’articolo 169 bis, in materia però di ammissione al concordato preventivo, sulla sospensione dei contratti pendenti.

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