Non profit, lo sconto sull’Ires tornerà con un emendamento al decreto semplificazioni
Governo pronto a cancellare la stretta fiscale sul terzo settore. Quella che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel tradizionale discorso di fine anno, ha definito la «tassa sulla bontà» potrebbe essere una delle prime correzioni della manovra entrata in vigore ieri. Il veicolo su cui far salire la modifica alla nuova legge di Bilancio (legge 145 del 30 dicembre 2018) sarebbe già stato individuato nel decreto semplificazioni approvato la settimana prima di Natale e ora all’esame delle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato . E potrebbe non essere la sola. Il Dl 135/2018, con cui l’Esecutivo dopo un doppia e travagliata approvazione a Palazzo Chigi, ha introdotto un pacchetto di misure ad hoc per il sostegno e le semplificazioni di imprese e Pa (atto Senato 989), è destinato a diventare il prossimo terreno di confronto anche all’interno della stessa maggioranza di Governo. Tra le altre novità in arrivo anche il cosiddetto piano «salva-Brexit». Si tratta di un pacchetto di interventi finalizzati a tutelare le imprese italiane in caso di un «hard Brexit scenario» (si veda anche Il Sole 24 Ore di sabato 29 dicembre).
Il dietrofront sul non profit resta dunque una priorità dell’Esecutivo che in più occasioni ha pubblicamente annunciato la volontà di rivedere la norma introdotta con la legge di bilancio.
Se tempistica e contenitore in cui rivedere la stretta sul Terzo settore sono stati già individuati, come detto con la conversione del Dl semplificazioni, già da domani si lavorerà ai dettagli su come realizzare il ripristino del regime di favore riconosciuto agli enti senza fine di lucro che svolgono attività sociali, culturali e attività con fini solidaristici. Una strada possibile sarebbe quella di coprire il costo della misura attingendo da un Fondo per le politiche economiche o quello di Palazzo Chigi. Le risorse ci sarebbero e sarebbero anche in grado di coprire quanto richiesto dalla legge di Bilancio con il raddoppio dell’Ires sugli enti non profit: 118 milioni nel 2019 e 158 milioni per il 2020 e altrettanti per il 2021.
Va detto però che l’abolizione dell’Ires agevolata è stata inserita nel cosiddetto “emendamento Europa” - quello necessario per modificare i saldi della manovra come chiesto da Bruxelles - anche per chiudere una partita aperta da circa 8 anni con la Commissione Ue. Quest’ultima, infatti, aveva aperto nel 2010 una indagine mirata per possibile incompatibilità della riduzione dell’Ires che il sistema tributario italiano riconosceva fino al 31 dicembre scorso agli enti non commerciali. Procedura finora mai chiusa formalmente da Bruxelles. Quindi un ripristino del regime di favore per gli enti non profit a regime dovrà fare i conti prima o poi con la Commissione europea. A meno di non prevedere una parziale sterilizzazione della stretta giocando di sponda con le norme già contenute nel Codice del terzo settore.
Quest’ultimo, infatti, ha rinviato la disapplicazione dell’Ires dimezzata al 12% alla piena operatività del registro unico nazionale e della contestuale autorizzazione della Commissione europea alla possibilità di determinare il reddito in via forfettaria, con coefficienti particolarmente favorevoli per il volontariato e l’associazionismo sociale (1% e 3%). Una sorta di compensazione, dunque, con il raddoppio del prelievo Ires.
L’altro capitolo che potrebbe trovar posto nel Dl semplificazione è il pacchetto di misure allo studio del Governo e delle autorità di vigilanza per evitare un impatto particolarmente oneroso per le sedi di negoziazione italiane. Il Governo nel dibattito conclusivo sulla manovra a Montecitorio domenica scorso ha accolto l’ordine del giorno di Silvana Andreina Comaroli (Lega) che lo impegna ad adottare iniziative appropriate, «anche attraverso interventi legislativi a carattere transitorio», per ridurre al massimo i possibili impatti per il sistema finanziario italiano nel caso di un mancato raggiungimento dell’accordo sulle modalità di uscita del Regno Unito dall’Ue. Il tutto «a salvaguardia dell’ordinato svolgimento delle negoziazioni e della continuità operativa nella prestazione dei servizi finanziari». Obiettivo primario sarebbe quello di evitare alle banche di avviare il trasferimento della propria attività di regolamento in cambi presso altre giurisdizioni con conseguente perdita per l’Erario del gettito fiscale sui proventi derivanti, direttamente o indirettamente, da queste attività.
Da parte del Governo occorre, poi, fornire una risposta diretta anche alla Banca europea per gli investimenti che già da tempo segnala la necessità di definire le regole su come va ripartita tra tutti i Paesi Ue la quota dell’aumento di capitale necessario a far fronte all’uscita del Regno Unito dall’Unione.