Imposte

Partite Iva e Pmi, concordato preventivo per pagare le tasse

<span class="argomento"/>Il viceministro all’Economia, Maurizio Leo, annuncia un accordo biennale tra fisco, intermediari e contribuenti. Va riscritto l’imponibile Ires

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di Marco Mobili e Gianni Trovati

Una riforma fiscale a tutto campo, una “rivoluzione copernicana” almeno nelle ambizioni. Che punta «a riscrivere non solo le regole di un sistema tributario ormai datato e troppe volte rattoppato, ma soprattutto il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuenti».

È quello a cui sta già lavorando il vice ministro all’Economia, Maurizio Leo, con superdelega alle Finanze, che conta di presentare la riforma targata Meloni nei primi giorni di febbraio. «La manovra di bilancio, ora all’esame della Camera, sarà il ponte che ci porterà al nuovo sistema fiscale». In questo senso vanno lette, secondo Leo, le norme inserite nella legge di bilancio sulla tregua fiscale, sulla cancellazione dei ruoli inesigibili, così come quelle sulle imposte sostitutive, introdotte per rivalutare il valore e il prezzo di acquisto di asset e beni delle imprese iscritti in bilancio.

L’ambizione sistemica non è nuova. Ce l’aveva anche la delega avviata dal governo Draghi e naufragata al Senato con la crisi. E infatti la nuova riforma per Leo dovrà ricalcare in gran parte i capitoli giudicati «buoni» di quella delega già discussi nei mesi scorsi in Parlamento. «Sarà però necessario definire criteri direttivi ben più chiari e precisi di quelli del vecchio disegno di legge, che erano carenti in molte parti». Non solo.

«Oltre a rivedere aliquote e scaglioni Irpef, o la giungla delle agevolazioni e degli sconti fiscali che oggi lasciano fin troppi spazi a chi vuole eludere il sistema, o ancora a rivedere i panieri e le aliquote Iva, anche queste in chiave anti evasione, sarà necessario semplificare il sistema a partire dal reddito d’impresa», spiega il viceministro.

E proprio qui dovrebbe arrivare la “rivoluzione copernicana”, rappresentata dall’introduzione di un concordato preventivo biennale per le partite Iva e le Pmi (Sole 24 Ore di ieri). «Questo strumento permetterebbe di semplificare il sistema e il rapporto dell’amministrazione finanziaria con le piccole e medie imprese, soprattutto grazie a un confronto diretto tra il contribuente, sempre assistito da intermediari abilitati, e il Fisco». In che cosa consiste? «Si tratta di un accordo preventivo sulle tasse che il contribuente si impegna a pagare nei due anni successivi. Oggi il Fisco - spiega Leo - dispone di una quantità infinita di dati. Grazie alla fatturazione elettronica, alle liquidazioni periodiche Iva, tra non molto alla dichiarazione precompilata Iva e alle pagelle fiscali (Isa), l’amministrazione finanziaria è in grado di avere una fotografia nitida e puntuale delle piccole e medie imprese. Sulla base di questa miriade di informazioni il Fisco sa quanto poter chiedere di tasse al contribuente. E tutto quello che sarà in più a quanto concordato dichiarato potrebbe essere esente da imposte».

Un sistema così concepito, nelle intenzioni di Leo, porterebbe vantaggi anche all’amministrazione in quanto libererebbe risorse da dedicare agli accertamenti solo sui soggetti più a rischio e sulle frodi. Per le grandi imprese, infatti, il viceministro conta di potenziare la cooperative compliance introducendo una sorta di «231 sulle criticità fiscali, che, accompagnata da un contraddittorio tra imprese, intermediari e fisco, consentirebbe all’agenzia delle Entrate di avere un dialogo continuo con l’impresa, consentendole di entrare nei meccanismi decisionali in una logica cooperativa per capirne consistenza e redditività», spiega Leo.

Il nuovo fisco per le imprese, inoltre mette nel mirino anche l’imponibile Ires. «Oggi esistono troppe deroghe legate a differenti componenti e differenti valutazioni sia civili sia fiscali che complicano la vita delle imprese. Gli esempi non mancano a partire dalla disciplina delle società di comodo destinata ad essere soppressa. Il meccanismo di percentuali che oggi fanno scattare le penalizzazioni applicate alla media dei ricavi, così come il valore del solo immobile, non fanno inquinare il reddito imponibile dell’impresa». Altro tema caro alle imprese e al viceministro è la gestione degli interessi passivi «soprattutto in un momento in cui gli stessi contribuenti si devono finanziare, in molti casi per resistere alla crisi di prezzi, materie prime ed energia», spiega ancora Leo. «Proviamo ad allinearci ai Paesi europei che utilizzano regole semplici e a sostegno dell’attività produttiva. L’ipotesi più concreta è l’introduzione del carry back un meccanismo che consenta alle imprese di poter compensare le perdite con utili o redditi degli anni precedenti».

A completare il quadro delle novità ipotizzate per il reddito d’impresa ci sono anche le modifiche alla deducibilità delle auto aziendali, «oggi troppo bassa e vincolata a un 20% che non facilita il rilancio di un settore chiave come l’automotive, e la riscrittura dei coefficienti di ammortamento, ancorati a un decreto del 1988 e dunque a valori vecchi di 34 anni e spesso non più in linea con i beni attuali delle imprese».

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