Contabilità

Posizioni distanti su falcidia e degrado dei crediti privilegiati

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di Giovanbattista Tona

La giurisprudenza di merito si interroga e si divide sui limiti entro i quali va rispettato l’ordine delle cause legittime di prelazione nel concordato con continuità.

L’articolo 182-ter della legge fallimentare consente il pagamento parziale del credito, se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, con il ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Sulla scorta di questa previsione, sono stati proposti piani che falcidiavano e degradavano i crediti privilegiati, affermando che il privilegio doveva ritenersi sussistere solo nei limiti del valore di liquidazione del bene sul quale gravava; invece superata questa soglia i crediti privilegiati potevano essere falcidiati e degradati a crediti chirografari.

Questa interpretazione disattesa dal Tribunale di Padova (sentenza del 24 gennaio 2019) è stata invece “promossa” dal tribunale di Milano che, sul punto, ha modificato il proprio orientamento.

I giudici veneti hanno ritenuto che le norme sul concordato non possono sottrarsi ad un’interpretazione sistematica nella quale i principi generali rimangono, in base agli articoli 2740 e 2741 del Codice civile, la garanzia patrimoniale in favore del creditore costituita da tutti i beni presenti e futuri del debitore e la parità di trattamento tra i creditori, fatte salve le cause di prelazione.

E così come nel concordato liquidatorio non è consentito che la proponente trattenga per sé alcuni beni, dovendoli tutti destinare alla soddisfazione dei creditori, nel concordato in continuità una volta esclusa la liquidazione dei beni strumentali è necessario devolvere ai creditori l’intero frutto della loro trasformazione: e destinarlo nel rispetto dell’ordine dei privilegi.

Falcidia del credito e degrado del privilegio possono quindi essere consentite solo se il patrimonio del proponente è incapiente. Ma nel caso di continuità la capienza va valutata tenendo conto dei possibili utili derivabili dalla prosecuzione e non solo dal valore statico dell’azienda valutato al momento della proposta.

In passato anche il Tribunale di Milano (decisione del 15 dicembre 2016), aveva affermato che il surplus concordatario derivante dalla prosecuzione doveva considerarsi assoggettato al rispetto delle cause legittime di prelazione.

Ma i giudici milanesi hanno poi mutato orientamento e ora ritengono, come hanno ribadito nel decreto del 15 novembre 2018, che le regole di distribuzione del patrimonio del debitore sancite dall’articolo 2741 del Codice civile non riguardano il patrimonio posteriore, composto anche dagli eventuali utili della prosecuzione.

Nel caso esaminato veniva valutato un concordato in continuità con assuntore, laddove la prosecuzione era stata garantita dagli investimenti di un terzo. E il tribunale ha posto il principio per cui i flussi della continuità, generati con l’apporto di un finanziatore esterno, non possono ritenersi assoggettati al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, per la semplice ragione che questi flussi, nella prospettiva fallimentare, non esisterebbero.

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