Imposte

Regime Cfc anche per le branch con partecipazioni in società estere

Tra i soggetti controllati anche le stabili oltreconfine nella branch exemption

di Luca Gaiani

Anche le stabili organizzazioni di imprese estere rientrano nel regime Cfc se nel patrimonio italiano figurano partecipazioni di controllo in società non residenti. L’estensione dell’ambito soggettivo dell’articolo 167 del Tuir è commentata nella bozza di circolare posta in consultazione dalle Entrate. Parimenti, rientrano tra i soggetti controllati le stabili estere di imprese italiane, ma solo se usufruiscono della branch exemption.

La circolare delle Entrate diffusa in consultazione fino al 6 agosto costituisce un vero e proprio vademecum ufficiale della disciplina Cfc prevista dall’articolo 167 del Tuir in vigore dal 2019 dopo le modifiche introdotte dal Dlgs 142/2018.

La principale novità prevista da quest’ultimo provvedimento consiste nella estensione delle regole sulla tassazione per trasparenza a tutte le società controllate estere che, a prescindere dal paese di residenza, presentano congiuntamente due requisiti: tassazione effettiva inferiore alla metà di quella virtuale italiana e riferibilità di oltre un terzo dei propri proventi a determinate categorie (cosiddetti passive income).

Tra i soggetti controllanti a cui si applica la norma Cfc rientrano ora anche imprese estere che, nel patrimonio di proprie stabili organizzazioni italiane, detengono quote di controllo in società estere aventi le due caratteristiche sopra ricordate.

Quanto al requisito del controllo, la circolare sottolinea che lo stesso può essere realizzato sia mediante una partecipazione diretta, che attraverso una quota indiretta. In quest’ultimo caso, il controllo si calcola senza ricorrere al meccanismo della demoltiplicazione della catena societaria. La circolare formula il seguente esempio. A (italiano) detiene il 60 per cento di B e il 70 per cento di C. B e C partecipano al 35 per cento ciascuno ad una società estera: il requisito del controllo (articolo 2359 del Codice civile) è verificato in capo ad A, perché indirettamente controlla il 70 per cento dei diritti di voto della entità estera.

Tra i controllati esteri si comprendono anche quelli costituiti in forme giuridiche che non possono essere qualificate come società o imprese, come ad esempio gli Oicr, le fondazioni e i trust.

Le stabili organizzazioni estere di imprese italiane rientrano tra le Cfc (in presenza sempre dei due requisiti) solo se si è optato per la cosiddetta branch exemption (articolo 168-ter del Tuir) e dunque se il reddito non confluisce già in quello della casamadre italiana.

Una delle novità che produce un maggiore impatto sui contribuenti è relativa alla definizione di passive income. Rispetto alla precedente formulazione, rientrano tra i proventi rilevanti sia le prestazioni di servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo nei confronti di parti correlate, sia le analoghe compravendite di beni. Queste ultime non erano citate nella normativa precedente anche se in via interpretativa le Entrate ne avevano in taluni casi sancito l’assimilazione. La circolare, oltre a prevedere che queste transazioni rientrano nei passive income sia quando le parti correlate si pongono come clienti (della cessione o della prestazione) sia quando figurano come fornitori, si sofferma sui criteri per determinare l’esistenza di un basso valore aggiunto. Il richiamo al Dm Economia del 14 maggio 2018 (in materia di transfer pricing) vale, oltre che per i servizi (come dice la norma), anche per le cessioni di beni.

Utili spunti al riguardo possono poi trarsi dalle linee guida Ocse (paragrafo 7.5) e dalle esemplificazioni “positive” e “negative” ivi contenute. Deve comunque trattarsi di servizi (o compravendite di beni) che non presuppongono una contribuzione significativa, fatto questo da determinare in sede di verifica. Ad esempio, si rientra nei passive income se la controllata svolge solo formalmente un’attività diversa da quelle indicate ai fini del transfer pricing (ad esempio una consulenza “core”), senza tuttavia apportare un significativo valore aggiunto.

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