Registro all’1% per l’atto di scioglimento della comunione su un immobile
L’atto mediante il quale si procede allo scioglimento della comunione su un immobile instauratasi tra una società e i suoi tre soci, mediante assegnazione del bene in natura alla prima e versamento a favore degli altri di somme corrispondenti alla rispettiva quota di diritto, anche nell’eventualità in cui la provvista non faccia parte della massa da dividersi, sconta l’imposta di registro prevista per gli atti di natura dichiarativa, determinata secondo l’aliquota dell’1% e non quella del 9% fissata per gli atti traslativi a titolo oneroso.
È a tal fine determinante che ai partecipanti alla comunione diversi dall’assegnatario del bene in natura debbano essere corrisposti, a titolo perequativo, beni di valore eguale alla rispettiva quota di diritto.
È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza del 14 luglio 2017, n. 17512.
Nel caso di specie si discuteva della tassazione da applicare al trasferimento di un bene in natura e alle conseguenti assegnazioni perequative convenute in un verbale di conciliazione giudiziale con il quale era stata risolta una controversia nata tra una società in accomandita semplice e i suoi tre soci, partecipanti ad una comunione su un immobile. Conclusa la lite, le parti erano addivenute alla decisione di attribuire tutte le quote di proprietà dell’immobile ad uno dei partecipanti alla comunione, cioè alla società, gravandola dell'obbligo di versare agli altri soggetti, somme corrispondenti al valore delle rispettive quote di diritto, a titolo di conguaglio.
Il fulcro della questione riguardava l’interpretazione dell’articolo 34 Dpr 131/1986 che, occupandosi di divisioni ereditarie, fissa le modalità di tassazione delle assegnazioni volte a sciogliere lo stato di comunione (anche se sorta in forza di più titoli, purché l’ultimo di derivazione successoria: «masse plurime») nell’ipotesi in cui sia dovuto un conguaglio, cioè quando le assegnazioni avvengano mediante attribuzione di beni aventi un valore complessivo eccedente rispetto a quello spettante al condividente assegnatario sulla massa comune.
Ebbene, vige la regola generale secondo cui gli atti di divisione hanno natura dichiarativa e le assegnazioni che avvengono a tale titolo devono essere tassate mediante l’applicazione dell’imposta di registro determinata nella misura dell’1% (articolo 3, Tariffa parte prima, allegata al Dpr 131/1986), tuttavia, quando non vi sia perfetta coincidenza tra la quota di diritto di ciascun condividente e la quota di fatto (cioè quella che in effetti gli viene assegnata), l’articolo 34 sopracitato dispone che la differenza sia trattata come vendita e, quindi, al relativo trasferimento sia applicata l’imposta di registro nella misura del 9% (ai sensi dell’articolo 1, Tariffa parte prima, allegata al Dpr 131/1986).
La Corte di Cassazione, accogliendo parzialmente il ricorso proposto e cassando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, ha rilevato l’erroneità della decisione impugnata, nella quale era stata considerata «legittima l’applicazione dell’aliquota di vendita alla concentrazione delle quote in natura dell’immobile» da assegnare «alla società verso conguagli da questa pagati ai soci».
Secondo la Suprema Corte, il giudice d’appello si era erroneamente discostato dal principio di diritto secondo cui «in caso di scioglimento della comunione» «mediante assegnazione dell’intero bene ad alcuni comproprietari, con versamento, da parte loro agli altri condividenti di somme in denaro pari al valore delle quote», ai fini dell’imposta di registro «si applica l’aliquota propria degli atti di divisione e non la regola prevista dall’art. 34, Dpr 26 aprile 1986 n. 131», siccome un simile negozio conserva la natura dichiarativa tipica della divisione anche nell’eventualità in cui le somme da corrispondere ai condividenti non assegnatari del bene in natura non derivino dalla massa ereditaria. (Cass. 30 luglio 2010 n. 17866; Cass. 16 novembre 2012 n. 20119).
L’«alterazione della natura dichiarativa dello scioglimento» di una comunione e la sua «metamorfosi in senso traslativo» presuppone infatti che «ad un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente» rispetto a quello a lui spettante, ma ciò non vale ove vi sia corrispondenza tra la quota di diritto e la quota di fatto effettivamente assegnata.
Occorre infine osservare che l’articolo 34 Dpr 131/1986 prevede un limite di tolleranza fissato nella misura del 5% (cinque per cento) del valore delle assegnazioni da eseguire a titolo di divisione, per cui se esse “non sforano” tale soglia, il relativo trasferimento non deve essere tassato come vendita, bensì ciò vale solo per la parte eccedente il 5%.