Il CommentoControlli e liti

Sentenze motivate, un diritto da tutelare

di Enrico De Mita

La giurisprudenza della nostra Suprema corte è quasi quotidianamente coinvolta in pronunce riguardanti il cosiddetto «abuso del diritto» in ambito tributario (tra le più significative, si veda la 10121/2020).

Non si pensi che il quotidiano coinvolgimento della Cassazione discenda da una mera ipertrofia difensiva del contribuente. Molto spesso il vizio genetico risiede nelle pronunce inadeguate – sul piano motivazionale – delle Commissioni tributarie regionali, a maggior ragione dopo la novella del Dl 83/2012 dell’articolo 360 del Codice di procedura civile Sul punto, infatti, risulta, ad oggi, violato il principio del terzo grado di giudizio.

Tanto che, sulla base delle ultime pronunce (Cassazione 23872/2020 del 29 ottobre, ex plurimis), dovrebbe concludersi che la motivazione della sentenza, ricorsa per cassazione, non può dirsi “apparente”, se esiste una “parvenza” di motivazione. A prescindere dalla contraddizione in termini che tutti vediamo, il tema non può essere relegato al gioco di parole, quando in gioco c’è il rispetto del principio di legalità, del diritto di difesa e del giusto processo (articoli 23, 24, 111 della Costituzione).

Il tema assume una peculiare centralità tutta processuale: risulta quasi insormontabile lo scoglio del motivo di ricorso del numero 5 dell’articolo 360 del Codice di procedura civile,

Le sentenze di secondo grado, e, per quanto ci riguarda, nello specifico, le sentenze delle commissioni tributarie regionali, possono essere impugnate con ricorso per cassazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». La nuova formulazione risale, come noto, al 2012 e ha sostituito la vecchia, che prevedeva la censurabilità per «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».

L’applicazione della norma da parte della Suprema corte ha portato ad una drastica limitazione del diritto di difesa del contribuente: come può notarsi esaminando le pronunce, anche recentissime, di ottobre e novembre 2020, in tema di abuso del diritto, o la motivazione è materialmente – verrebbe da dire “fisicamente” – mancante, oppure il ricorrente può rassegnarsi ad accettare il dictum della pronuncia della Ctr. Basterà, infatti, anche un semplice richiamo in narrativa della sentenza alle doglianze delle parti e un richiamo per relationem alla sentenza appellata, per considerare soddisfatto il requisito della “non apparenza” della motivazione; in definitiva, del “non omesso” esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

L’odierno articolo 360, n. 5 del Codice di procedura civile, in sostanza, si sta traducendo, nel diritto vivente, in una pesante elisione del diritto di difesa del contribuente nei giudizi tributari. Risulta più semplice auspicare un diretto intervento del legislatore, ma non si può escludere di percorrere la via della questione costituzionale, se si vuole rimanere nell’ordinamento interno.

ome la motivazione dell’atto tributario impugnato o c’è originariamente oppure non può essere integrata in sede di controdeduzioni in giudizio; così, e a maggior ragione, la motivazione di una sentenza tributaria, che si pone al vertice del genus degli atti di accertamento tributari, non può essere “inferita” ex post, ricavata per collazione, tradotta per composizione.

Non basta affermare che l’assenza di giustificazione economico-imprenditoriale di un’operazione e l’inefficacia delle correlative difese della società contribuente, trovano «evidente integrazione logico-argomentativa nelle esposte contestazioni dell’agenzia fiscale» (Cassazione 23872/2020). Come a dire che la motivazione c’è, se si è in grado di trovarla, mettendo insieme il rigetto del ricorso del contribuente con le premesse fattuali e giuridiche della pretesa fiscale.

Allora, semplificando in modo abrogante, la motivazione di una sentenza potrebbe limitarsi a constatare che le allegazioni difensive sono «insufficienti e inconferenti, quindi inidonee», senza dirci il perché, ossia «senza motivare».

Ma una motivazione che non motiva, non è motivazione.

Se si è pensato di ridurre il carico di lavoro della Suprema corte eliminando la possibilità di ricorrere per cassazione contro le sentenze in generale, e contro le sentenze tributarie, in particolare, questo pensiero è abnorme e violativo di principi costituzionali fondamentali.

Soprattutto in materia di abuso del diritto, l’obbligo di motivazione è fondamento della pretesa amministrativa e risulta centrale in sede giudiziale.

L’Amministrazione è chiamata ad un notevole pragmatismo e al rispetto, insieme ai Giudici, del principio di legalità, il quale esige che il contribuente possa valutare con certezza le conseguenze fiscali dei suoi comportamenti.

L’accertamento dei verificatori, se vuole resistere in giudizio, deve essere puntuale, non approssimativo né sommario.

La piena responsabilizzazione dell’Amministrazione si associa all’esigenza sistematica, di carattere costituzionale, particolarmente significativa nella materia dell’abuso del diritto: il rispetto della centralità del principio di legalità, del diritto di difesa e del giusto processo, senza la possibilità di supplenze né sul piano amministrativo né giudiziale.

Nel quadro delineato, l’attuale formulazione dell’articolo 360 n. 5 del Codice di procedura civile, come applicato dal diritto vivente in ambito tributario, traduce la violazione degli articoli 23, 24 e 111 della Costituzione.