Società agricole, senza tassazione le somme percepite dal socio per il recesso
Le imprese agricole sono spesso costituite nella forma della società semplice i cui soci sono frequentemente legati da vincoli di parentela. Di fatto la società semplice agricola è una evoluzione della antica comunione tacita familiare. Capita quindi che i soci che magari hanno raggiunto un limite di età, recedono dalla società in quanto non sono più in grado di fornire l’apporto lavorativo e vengono liquidati della loro quota. Inevitabilmente le somme erogate al socio recedente, sono attinte dai conti societari; così pure talvolta il socio che recede viene liquidato mediante l’assegnazione di beni pur sempre appartenenti alla società semplice.
Si pone il problema se le somme percepite dal socio concorrano a formare il reddito imponibile. Presa alla lettera la fattispecie rientra nell’articolo 47, comma 7 del Tuir in cui è previsto che le somme ed il valore dei beni, in caso di recesso, costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle quote annullate. Tuttavia occorre considerare anche la disposizione contenuta nell’articolo 20 bis del Tuir il quale dispone che nella determinazione del reddito di partecipazione comprese le somme attribuite ai soci, le disposizioni all’articolo 47, comma 7 si applicano in quanto compatibili. Ciò significa che tale ultima disposizione ha riflessi sulle modalità di determinazione del reddito e non sulla sua natura che rimane quella originaria. Quindi le somme percepite da un socio che recede da una società semplice che ha svolto nel tempo attività rientranti nel reddito agrario sono pure comprese nella tariffa d’estimo e non sono soggette ad autonoma tassazione.
Ne consegue quindi che il socio che recede da una società agricola non deve assoggettare ad Irpef le somme ricevute a tale titolo. Questo principio viene confermato da alcune risposte fornite ad interpelli (non pubblici) sia dalla direzione regionale delle Entrate della Lombardia e del Piemonte.
Occorre infatti ribadire che l’articolo 20-bis del Tuir, in merito alle modalità di quantificazione dell’eventuale reddito che si forma in capo ai soci di società personali, rimanda all’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni recate dall’articolo 47, comma 7, del Tuir secondo cui «le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto, e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate».
Inoltre per la qualificazione di tale reddito, la circolare 6/E/2006 (e successivamente la risoluzione 64/E del 2008) ha precisato che la disposizione all’articolo 20-bis del Tuir definisce quali «redditi di partecipazione» i redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società di persone nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale rinviando nel contempo, ai soli fini della determinazione del reddito da assoggettare a tassazione e sempre se compatibili, alle regole dettate dall’articolo 47 del Tuir.
Tale principio ha effetto anche per le partecipazioni in società semplici: di conseguenza, nel caso di scioglimento di società semplice il cui reddito sia sempre rientrato nel reddito agrario all’articolo 32 del Tuir, i redditi compresi nelle somme erogate al socio nonché il valore normale dei beni assegnati ai soci, determinati secondo le regole all’articolo 47, comma 7, del Tuir, devono essere qualificati come redditi fondiari.