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Società madre come soggetto passivo unico nel gruppo Iva se non c’è rischio di perdite fiscali

Per la Corte di giustizia Ue è richiesta la dimostrazione di poter imporre la propria volontà nei confronti delle altre società

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di Matteo Dellapina

Può essere designato quale soggetto passivo unico ai fini Iva, non tanto il gruppo Iva, bensì la società madre, a condizione che, da un lato, dimostri di poter imporre la propria volontà nei confronti delle altre società e dall’altro, che tale designazione non comporti un rischio di perdite fiscali.

Il gruppo Iva è stato oggetto di due recenti (quanto interessanti) pronunce della Corte di Giustizia che ne ha scolpito alcuni tratti salienti e caratterizzanti. In entrambe le pronunce è stata sancita la centralità della figura della società madre, che potrà essere designata quale soggetto passivo unico ai fini Iva purché siano assolte due condizioni indispensabili:

a) la designazione non deve comportare un rischio di perdite fiscale e

b) la società madre non dovrà imporre la propria volontà nei confronti delle altre.

Nella prima vicenda (Finanzamt Kiel, C-141/20, sentenza del 1° dicembre 2022) si poi è sottolineato come la costituzione del gruppo Iva non possa risultare subordinata al fatto che una società madre disponga, presso altra società (che intenda unirsi al gruppo), della maggioranza dei diritti di voto oltre a una partecipazione maggioritaria nel capitale di quest’ultima.

Inoltre, se le varie società che fanno parte del gruppo sono integrate sul piano finanziario, economico e organizzativo nella società madre, non potranno essere qualificate come non indipendenti. Da qui ne deriva appunto che un’entità societaria che abbia un rapporto vincolato (finanziario, economico e organizzativo) con la società madre non potrà essere inquadrato, dalla legislazione di uno Stato, come non indipendente siccome queste sopportano sempre i rischi economici connessi all’esercizio delle rispettive attività economiche svolte.

Nell’altro caso invece (Finanzamt T, C-269/20, sentenza del 1° dicembre 2022), lo spunto ulteriore emerge dal fatto che, se la società madre, operante sempre quale soggetto passivo unico, effettui, da un lato attività economiche soggette a Iva e dall’altro attività nell’ambito dell’esercizio di pubbliche potestà, non soggette a imposta, le eventuali prestazioni di servizi fornite da un membro del gruppo, inerenti l’esercizio di pubbliche potestà, non saranno assoggettate a Iva.

Qui i giudici unionali hanno rimarcato un tema di estremo interesse relativo al non assoggettamento a Iva delle prestazioni che un membro del gruppo eroga nell’esercizio di pubbliche potestà. Ma ciò potrà avvenire a condizione che la società madre, operando sempre quale soggetto passivo unico, effettui duplici attività, ossia sia soggette a Iva che nell’ambito dell’esercizio di pubbliche potestà, in quanto tali non soggette a imposta sul valore aggiunto.

Quando si parla di «gruppo Iva» si fa riferimento a un unico soggetto passivo Iva formato da un insieme di persone (fisiche o giuridiche) stabilite nel territorio dello stesso Stato membro, che siano giuridicamente indipendenti ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici e organizzativi. Qui il richiamo è alla norma unionale, ossia all’articolo 11 della direttiva 2006/112/CE che è stato recepito nella disciplina nazionale, previo inserimento del Titolo V-bis (articoli da 70-bis a 70-duodecies), all’interno del Dpr 633/1972. Da qui si innestano poi vari interventi della giurisprudenza Ue.

Nella vicenda Ampliscientifica e Amplifin (C-162/07, sentenza del 22 maggio 2008), si è sottolineato come l’attuazione del regime previsto dall’articolo 4, n. 4, secondo comma, della Sesta direttiva 77/388/Cee, implica che la norma nazionale autorizzi i soggetti, segnatamente le società, caratterizzati da vincoli di carattere finanziario, economico e organizzativo, a non essere più considerati quali soggetti passivi distinti ai fini Iva per essere considerati quale unico soggetto passivo.

In tal senso, qualora uno Stato membro applichi tale disposizione, il soggetto o i soggetti giuridicamente dipendenti ai sensi della disposizione medesima non possono essere considerati quali soggetti passivi in base all’articolo 4, n. 1, Sesta direttiva 77/388/Cee (cfr. Cgue, Van Der Steen, C-355/06, sentenza del 18 ottobre 2007).

Di conseguenza, ad avviso della Cgue, l’assimilazione a un soggetto passivo unico esclude che tali soggetti giuridicamente dipendenti continuino a presentare separatamente dichiarazioni Iva e continuino a essere individuati, tanto internamente quanto all’esterno del loro gruppo, quali soggetti passivi, atteso che solamente il soggetto passivo unico è autorizzato a presentare tali dichiarazioni d’imposta.

La pronuncia in esame, a cui si è accodata poi quella resa nel caso Skandia America (Usa) – filial Sverige (C-7/13, sentenza del 17 settembre 2014), ha posto l’attenzione sul tema del cd. soggetto passivo unico all’interno del gruppo Iva, il quale sarà tenuto lui stesso alla presentazione della dichiarazione d’imposta.

Così le società, legate da vincoli finanziari, economici o organizzativi tra loro, non potranno più essere inquadrate, ai fini Iva, quali soggetti passivi distinti ma dovranno essere considerati come un unico soggetto passivo: tale assimilazione comporterà anche degli obblighi, relativi in tal caso alla presentazione delle dichiarazioni Iva che non potrà più essere compiuta individualmente da ogni singolo soggetto ma dovrà necessariamente essere presentata dal soggetto passivo unico, quale "unico" soggetto autorizzato a ciò.

Tale aspetto è stato poi rimarcato dall’avvocato generale (Cgue, C-141/20) che ha aggiunto come, in caso di membri giuridicamente indipendenti di un gruppo Iva, se costoro costituiscono insieme un unico soggetto passivo, dovrà esistere un unico interlocutore che assumerà gli obblighi Iva del gruppo nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Ma la natura meramente stretta dei rapporti che vincolano le entità interne al gruppo Iva non potrà, in assenza di altri requisiti, indurre a ritenere che il legislatore Ue abbia inteso riservare e circoscrivere il beneficio del regime del gruppo Iva alle sole società che si trovino in un rapporto di subordinazione con la società madre del gruppo di imprese. Infatti, nonostante l’esistenza di un tale rapporto di subordinazione consenta di presumere la natura stretta delle relazioni tra le entità in esame, essa non potrà tuttavia, in linea meramente di principio, essere considerata quale condizione necessaria alla costituzione del gruppo Iva.

Allo stesso tempo la conclusione sarebbe diversa solo nei casi eccezionali ove una tale condizione fosse, in un determinato contesto nazionale, una misura allo stesso tempo necessaria e adeguata al conseguimento degli obiettivi volti a prevenire prassi o condotte abusive o a lottare contro la frode o l’evasione (Cgue, Larentia - Minerva e Marenave Schiffahrt, C-108/14 e C-109/14, sentenza del 16 luglio 2015).

Si può notare come la giurisprudenza Ue, molto attiva sul tema, abbia negli anni fissato e scolpito punti focali che hanno permesso poi di meglio inquadrare sia il gruppo Iva in sé e sia la figura della società madre. Da qui si può desumere che il percorso giurisprudenziale non sia arrivato al capolinea ma anzi sarà integrato negli anni da (interessanti) e utili interventi dei giudici Ue.

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