Imposte

Società di persone, qualità del socio non trasferibile agli eredi

Il contrasto della disciplina civilistica e fiscale nel caso di morte di un socio

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di Andrea Vasapolli

Mentre nelle società di capitali la morte di un socio non pone problemi in quanto i suoi eredi subentrano nella partecipazione dello stesso al capitale sociale, diverso è quanto accade nelle società di persone, in cui la sostituzione di un socio con gli eredi comporta una modifica del contratto sociale.

Anche alla luce del pronunciamento restrittivo della Cassazione, ordinanza 6082/2023, sui criteri di applicabilità dell'esenzione di cui all'articolo 3, comma 4-ter del Testo unico sulle successioni e donazioni, è utile soffermarsi sul contrasto tra disciplina civilistica e fiscale nel caso di morte di un socio illimitatamente responsabile di una società di persone. Dal punto di vista civilistico la fattispecie è disciplinata dall'articolo 2284 del Codice civile e la sostituzione di un socio con i suoi eredi, a fronte della stipula dell'accordo di continuazione, comporta una modificazione del contratto sociale.

La Cassazione afferma che la morte del socio porta alla cessazione della qualità di socio, che non si trasferisce quindi agli eredi, i quali accettando l'eredità acquisiscono solo il diritto al valore economico della partecipazione. Gli eredi che aderiscono alla proposta di continuazione con i soci superstiti non si sostituiscono al loro originario dante causa nella identica posizione che faceva capo al medesimo al momento della sua morte, per cui non subentrano nella stessa quota di partecipazione. L'erede del socio defunto diventa socio non iure successionis ma per effetto dell'accordo di continuazione, un atto inter vivos, e l'efficacia dell’accordo decorre dalla data della stipula.

Dal punto di vista fiscale non si dovrebbe quindi mai parlare di quote di società di persone facenti parte dell'attivo ereditario, bensì solo di diritto di credito degli eredi alla liquidazione della quota. Non si dovrebbero quindi porre problemi di valutazione della partecipazione del de cuius ovvero di esenzione della stessa ai fini dell'assolvimento dell'imposta di successione. Così, tuttavia, non è.

Il Dlgs 346/1990 include infatti tra i beni che concorrono a formare l'attivo ereditario anche le partecipazioni in società di persone che erano nella titolarità del de cuius, senza distinzione alcuna in base al regime di responsabilità limitata o illimitata del socio. L'articolo 16 comprende le partecipazioni in società semplici e di fatto, l'articolo 3 al comma 4-ter si riferisce genericamente alla totalità delle partecipazioni in società di persone, l'articolo 25 al comma 4-bis cita espressamente le partecipazioni in società di persone trasferite «al coniuge o al parente entro il terzo grado del defunto». In senso coerente è la prassi (ad esempio la circolare 3/2008) e lo sono le istruzioni per la compilazione della dichiarazione di successione. Tali disposizioni vanno in ogni caso raccordate con le regole civilistiche sopra richiamate. In particolare, ai fini dell'imposta sulle successioni la finzione che dell'attivo ereditario faccia parte anche la partecipazione in una società di persone già del de cuius può trovare applicazione nel solo caso in cui gli eredi stipulino con i soci superstiti l'accordo di continuazione.

La disciplina fiscale, quindi, implicitamente attribuisce all'accordo di continuazione valenza di condizione risolutiva, per cui la stipula dello stesso produce ai fini fiscali effetti retroattivi, dal che consegue la rilevanza ab origine della partecipazione (e non del corrispondente diritto di credito) ai fini dell'imposta in oggetto e il suo concorso all'attivo ereditario.

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